#Mecult: il Metoo del mondo culturale

Su Micromega continua l’indagine sul sessismo nel mondo culturale

di Marilù Oliva

Il mio articolo sul maschilismo in editoria ha scoperchiato di nuovo il vaso di Pandora. Colleghe indignate, ferite, arrabbiate, umiliate, professioniste a cui sono state chiuse le porte per colpa di un rifiuto a delle proposte – spesso volgari. Sarebbe bello che ci unissimo, al di là delle categorie, e che partisse un nuovo #metoo dal mondo culturale, una sorta di #mecult: un movimento che facesse luce su questi aspetti retrogradi e li rinnovasse, ricostruendo il sistema su basi paritarie e veramente democratiche.

Molte autrici/giornaliste/intellettuali mi hanno scritto privatamente per raccontarmi la loro testimonianza e ne è uscito un sommerso preoccupante. Parlo di donne che hanno un curriculum tosto, sudato, conquistato spesso senza protezioni e senza garanti. Diverse di loro hanno subito molestie. Come è accaduto – tra l’altro più volte – al Premio Rapallo Francesca Maccani, che racconta di un affermato giornalista, un nome noto a livello nazionale, che, dopo qualche messaggio per concordare un’intervista, le ha mandato la foto del suo apparato genitale con scritto: «Quanto ti piacerebbe parlare con questo microfono?». Sappiamo tutte cosa abbia comportato il suo rifiuto: intervista andata a monte, niente visibilità. Una visibilità che spesso viene offerta ai nostri colleghi maschi senza che si chieda loro di scendere a compromessi, anzi: il più delle volte attorno a loro si crea una sorta di abbraccio ovattato, spontaneo e gratuito per cui vengono promossi, pubblicizzati, accolti solo in quanto uomini. Faccio uno tra mille esempi. Vedevo sui social una libraia toscana invitare autori, osannarli nell’attesa del loro arrivo, poi portarli a cena e glorificare ogni momento attraverso foto e fervide frasi traboccanti di stima (quando non adorazione). Con le poche donne che invitava era sempre più freddina. Quando andai io, fu tutto molto parco: niente pubblicità entusiasta, niente cena, forse noi scrittrici dovevamo ringraziare già per essere state inserite in una rassegna quasi esclusivamente maschile? Per fortuna non sono tutte così le libraie, ne conosco tante in gamba, che portano avanti le loro iniziative con spirito egualitario. Una di queste è Laura Orsolini, che è anche scrittrice e promotrice di progetti di lettura. Proprio lei mi ha svelato una triste verità con cui deve fare i conti tutte le volte che propone delle opere alle insegnanti (sottolinea il femminile): «Nelle scuole sono le insegnanti stesse che spesso prediligono adottare il libro di uno scrittore maschio piuttosto che quello di una femmina».

La scrittrice spezzina e sceneggiatrice di fumetti Susanna Raule inquadra bene la parte sotterranea del problema, senza fare di ogni erba un fascio. Del resto, lei, come tutte noi, ha potuto anche beneficiare di collaborazioni positive con colleghi maschi e ha ben chiaro che non si tratta di una guerra tra sessi, ma di una lotta costante contro una mentalità corrosiva e consolidata da secoli. Nella sua carriera non sono mancati la delegittimazione sotterranea, il paternalismo, la marginalizzazione. Fa parte di un gruppo, Moleste, che ha come obiettivo quello di combattere i comportamenti abusanti nel mondo del fumetto. Quello che chiedono dovrebbe essere scontato, invece in Italia non lo è: «Vogliamo imparare in un ambiente che ci rispetti come potenziali professioniste. Vogliamo essere giudicate come artiste, non come donne. Non siamo obbligate ad accettare un invito a cena per parlare del nostro lavoro. Non siamo tenute ad andare a casa di nessuno per mostrare il nostro portfolio. Non siamo “belle”, “tesoro”, “amore”. Siamo professioniste e come tali vogliamo essere considerate».

(l’articolo continua a pagina 2 o su MicrOmega)

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