“Mia madre aveva una Cinquecento gialla” di Enrica Ferrara (Fazi Editore)

Recensione di Linda Cester

“Mia madre aveva una Fiat Cinquecento gialla. Adesso non c’è più e non so nemmeno se ne facciano ancora. Lei era alta, bella e forte quando usciva da quella macchina piccola piccola. Ogni volta che la guidava pareva avesse affrontato una tempesta in mare. Ce l’aveva fatta. Era arrivata tutta d’un pezzo e ci aveva condotte in salvo.”

Inizia così il romanzo di Enrica Ferrara, un esordio intenso, sorprendente, che coinvolge fin dalle prime pagine. La storia di una famiglia napoletana che, a cavallo fra gli anni ’70 e ‘80, si troverà nell’occhio del ciclone, scaraventata al centro degli intrighi politici, specchio di un’Italia che ci riguarda tutti da vicino. Ed è attraverso gli occhi di Gina, la piccola di famiglia – che ha solo dieci anni e da grande vuole fare la scrittrice –, che il lettore si troverà a seguire il filo di un racconto che svela il mondo degli adulti per quello che è veramente, le scorrettezze, i raggiri, le menzogne, gli intrighi, quelle meschinità che Gina, curiosa e determinata, riuscirà a ricostruire pezzo per pezzo, fra parole non dette, segreti sussurrati e quel coraggio della verità che appartiene all’infanzia.

Un personaggio che commuove e fa riflettere, che si muove in quell’intreccio intenso e doloroso in cui la Storia dell’Italia intera – dal rapimento Moro al crollo della DC – si mescola a quella privata di una bambina che vedrà la sua vita cambiare improvvisamente, figlia di un noto politico democristiano costretto a fuggire, che diventerà latitante per anni. E in questo lungo periodo d’assenza Gina cercherà di capire, ricomporre la figura di un padre che da eroe si trasforma in qualcosa cui lei, ancora troppo piccola, non riesce a dare un nome, barcamenandosi fra i concetti malcelati degli adulti, provando a comprendere il significato di termini come “capro espiatorio”, “camorrista” o “brigatista”, e sperimentando contemporaneamente l’angoscia dell’abbandono, la perdita delle certezze, la lacerante consapevolezza delle conseguenze di quello strappo traumatico, inspiegabile.

L’articolo prosegue a p. 2

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