NICOLA LAGIOIA

ATTIVITA’:  scrittorenik3

SEGNI PARTICOLARI:  nato ad aprile

LO TROVATE:  a Roma

Le tue origini e la tua città

Sono nato a Bari. I miei genitori sono di Capurso. I miei nonni: Capurso linea paterna; Capurso e Triggiano linea materna. Sempre in provincia di Bari.

Cosa rispondevi da piccolo, quando ti chiedevano che lavoro volevi fare? 

Rispondevo alternativamente due cose: autore di fumetti, fisico teorico. Alla fine, facendo lo scrittore, non è che mi sia messo a una distanza incolmabile. Per come intendo i romanzi, mi sembra sempre di mettermi in una posizione a metà tra quella dello sciamano e quella dello scienziato. Da una parte hai a che fare con i tutta una serie di demoni che devi evocare (come accade per tutte le attività in cui conta la creazione, anche per i fumetti, basti pensare a uno come Oesterheld). Dall’altra, bisogna sempre pensare che a differenza della poesia, in cui l’elemento di verità sgorga nei migliori dei casi in maniera diretta, nella narrativa e la prosa la verità è come l’anima di una cittadella che devi assediare, espugnare, perché a un certo punto – vinte tutte le difese e resistenze – la verità in questione scappi fuori dalle porte della città assediata e tu finalmente la veda. Cioè qualcosa di molto simile al percorso di uno scienziato. Pensa soltanto a quanto è stato lungo l’assedio alla gravitazione universale prima che arrivasse Newton. Pensa anche (per arrivare alle questioni aperte) a come la meccanica quantistica, le stringhe, la M-theory siano affascinanti per chi si occupa di raccontare storie. Basterebbe il paradosso sul gatto vivo/gatto morto di Schrödinger per scriverci su almeno dieci racconti di prim’ordine.

E adesso cosa dici?

Non posso dire più niente. Sono uno scrittore, non potrò diventare niente di troppo diverso.

Quando, per te, un libro diventa letteratura?

Per rimanere alla scienza, lo sai che gli scienziati hanno ancora difficoltà nel definire la vita in via teorica? È uscito recentemente un articolo su «Scientific American» (una rivista scientifica nota in tutto il mondo) in cui gli autori parlano della difficoltà, addirittura dell’impossibilità di tracciare in via teoretica una linea di confine che segni nettamente le differenze tra la vita e la non-vita. Eppure quando vediamo un cane sappiamo che è vivo rispetto a un sasso che invece non lo è. Con la letteratura avviene una cosa molto simile. In via teorica è quasi impossibile definirla. Eppure quando ti trovi davanti a Luce d’agosto di William Faulkner, ai Buddenbrook di Mann, ai Viceré di De Roberto, a Seminario sulla gioventù di Busi, a Illusioni perdute di Balzac, al Teatro di Sabbath di Philip Roth o a Perturbamento di Thomas Bernhard non hai dubbi: è letteratura. Ovviamente (e quanto spesso succede) può capitare di scambiare dei morti per dei vivi. Sventurato chi, avendocela davanti, non riesce a distinguere tra vita e morte! A me, fortunatamente, non capita mai.

nik2Riportando tutto a casa è uscito per Einaudi nel 2009. Tre ragazzini e la Bari degli anni ‘80. È stato precisato che si tratta di un romanzo non di formazione, ma d’iniziazione, o di corruzione, giusto?  Se dovessi sintetizzare l’eredità degli anni ’80, dal punto di vista della carica energetica (e della scarica, anche), cosa diresti?

Sì, direi di iniziazione più che di formazione perché i protagonisti di Riportando tutto a casa iniziano ad aprire gli occhi sulla vita. Si rendono conto di una serie di cose. Che i loro genitori, la loro città, loro stessi non sono quelli che credevano di essere. Insomma, prendono coscienza. Però non diventano ancora solo per questo degli adulti. Inconsapevoli li pendiamo all’inizio del romanzo, consapevoli ma irrisolti li lasciamo alla fine. Ma l’attraversamento della linea d’ombra (la patente di adultità che il protagonista del romanzo di Conrad acquisisce dopo aver preso il largo; o anche più modestamente il teorema di Renzo Tramaglino che Manzoni ci mostra trasfigurato alla fine dei Promessi sposi) non si compie, non almeno entro le pagine di Riportando tutto a casa. Se accade lo fa fuori scena, dopo che il romanzo è terminato.

Soluzione di vecchi problemi (crollo del muro di Berlino, fine dell’età analogica, trionfo del mercato) e dunque incubazione di nuovi (crisi delle democrazie rappresentative, sperequazione scandalosa, crollo del ceto medio, imbecillità plebea come perfetto contrappeso della follia degli oligarchi). In tutto questo, nel frattempo, Dante, Shakespeare e Georg Trakl non sono invecchiati di un attimo.

In Occidente per principianti (Einaudi, 2004) cambia lo scenario cronologico – siamo alle soglie del nuovo millennio – e il tema della recherche è intrecciato nik4all’incognita del viaggio. Un viaggio che però si discosta dal topos classico del viaggio: un trip su e giù per l’Italia, “una stagione – l’estate del 2001 – molto simile a una «zona oscura», una soglia spalancata tra due secoli, due momenti storici, due diversi modi di percepire la realtà”. La sensazione è che parte del tuo lavoro sia improntato al ribaltamento degli stereotipi: non disvelandoli, ma mostrando, pur tenendo celata, l’altra faccia della realtà. 

Hai ragione. Questo c’è in effetti in tutti e tre i romanzi. Hai presente quando Philip Dick prima e William Burroughs dopo dicevano: “il problema non è essere paranoici, è non esserlo abbastanza”? Viviamo in effetti in un mondo in cui è sempre più complicato separare le cose dai loro opposti. A me per esempio fu subito chiarissimo quanto fosse reazionaria uno strano attrattore come il «Drive In» (malgrado il progressismo dello stesso Ricci), tanto è vero che Antonio Ricci si infuriò quando uscì Riportando tutto a casa e io parlai male della sua trasmissione partendo non tanto dalle donnine nude ma dal problema del linguaggio: “se attacchi il tuo avversario parlando la sua stessa lingua sei già lui”. Puoi dirti antifascista, antiberlusconiano, ma persino tuo malgrado sei quella cosa lì, se ne utilizzi il linguaggio. Successe una cosa strana, perché Antonio Ricci non perde mai le staffe né interviene mai personalmente nelle polemiche, ma sul «Fatto Quotidiano» ci fu proprio uno scontro epocale tra noi due, dal quale scontro (tenendo conto della povertà assoluta della sua retorica; in quel caso per me fu come guidare il Barcellona contro una squadra d’eccellenza, dovevo proprio stare attento a non fare troppo male) ebbi la conferma di ciò che sapevo. E cioè che era un reazionario in buona fede. Cioè credeva veramente di essere una sorta di Che Guevara della tv. Il che ovviamente è un’aggravante. Da qui l’attualità di un certo bipensiero orwelliano… In realtà però credo che (proprio culturalmente parlando) la mia diffidenza istintiva nei confronti del reale (o della sua rappresentazione) abbia radici più antiche. Innanzitutto è più continentale che analitica. Si situa cioè nel cuore dell’Europa del primo Novecento. La scuola del sospetto e la sua santa trinità: Nietzsche, Marx, Freud. Cosa venivano a dirti questi tre giganti? Attento, il dio in cui credi potrebbe non esistere; la società in cui vivi potrebbe essere il frutto di una colossale mistificazione; la tua stessa interiorità ti è in gran parte sconosciuta. Da qui l’esplosione del modernismo al quale per certi versi resto attaccato. Nel senso che cerco di capire cosa – di quelle griglie interpretative opportunamente modificate, anche magari stravolte ­– può andare bene per uno che nel XXI secolo, in Italia, voglia raccontare storie attraverso i libri.

In questo romanzo si riflette anche sulla società dello spettacolo: secondo te quanto essa è specchio del nostro paese?

Basti pensare a cosa non solo persone come Ricci, ma come Maurizio Costanzo, Maria De Filippi, Lele Mora abbiano rappresentato per l’immaginario italiano degli ultimi vent’anni. Uno specchio deformante, d’accordo, ma che a propria volta retroagisce sull’originale. Lele Mora l’autobiografia della nazione? Sì, ma per fortuna solo in parte.

Ci anticipi le prossime uscite di Nichel, la collana di minimum fax di cui sei direttore, e ci dici come sta andando la collana?

Sta per uscire “Addio, Monti”, l’esordio letterario di Michele Masneri, che alcuni lettori già conoscono per la sua attività di scrittore per riviste (come “IL” o “Studio”, tra i pochi periodici a far lavorare gli scrittori al meglio delle loro possibilità) dove il Monti del titolo non è l’ex Presidente del Consiglio ma l’omonimo quartiere romano. Poi, altro esordio, Stefano Sgambati, ma più in là. Sono poi al lavoro sui rispettivi romanzi Carlo D’Amicis e Giorgio Vasta. Sulla crisi dell’editoria. L’abbiamo sentita poco nel 2012 (dove anzi le vendite sono addirittura aumentate, basti pensare solo a quanto è andato bene il libro di Cognetti) mentre la stiamo sentendo di più negli ultimi 6 mesi. Detto questo, rispondiamo alla crisi come risponderemmo a qualunque altra congiuntura: cercando di pubblicare bei libri. Sarà banale, ma nella pratica di meno.

La figura dell’intellettuale non viene svilita dalla nostra epoca? È un processo autodistruttivo o  giunge dall’esterno?

Processo distruttivo e autodistruttivo. Infatti mi fido più degli scrittori che degli intellettuali.

Nel 2013 sei stato tra i selezionatori della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e ora ti toccherà una di quelle domande-stupide che costringono alla gabbia. La lista delle 5 pellicole per te più significative/belle.

“Stop the Pounding Heart” di Roberto Minervini; “L’intervallo” di Leonardo Di Costanzo; “La moglie del poliziotto” di Philip Groening, “Venere in pelliccia” di Roman Polanski, “Salvo” di Piazza e Grassadonia, “Wolfskinder” di Rick Ostermann (deve ancora uscire), “The Unknown Known” di Errol Morris, e anche l’ultimo Miyazaki (lo so, sono tra i pochi) mi è sembrato molto bello. Sono più di cinque, mi sono lasciato andare.

nik1L’ultima volta che ti sei arrabbiato

L’altro ieri, perché sono stato dodici ore di seguito per chiudere degnamente un capitolo del romanzo che sto scrivendo senza riuscirci. Ci sono riuscito il giorno dopo.

L’ultima volta che hai tentato inutilmente

Far capire al mio gatto che il quadrato costruito sull’ipotenusa equivale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti.

L’ultima volta che hai tentato con successo

Far capire al mio gatto che l’energia è massa per velocità al quadrato.

L’ultima amarezza

La terra dei fuochi. Quello che sta accadendo (ma soprattutto quello che è successo) è terribile.

L’ultima risata

Con mia moglie, facendo gli appostamenti al gatto di cui sopra e poi chiedendoci se sarebbe stata una buona idea farlo giocare con un riccio di terra che purtroppo conosciamo solo attraverso Instagram (è un riccio bellissimo, di una ragazza giapponese che però esiste solo su Instagram).

Due pregi e due difetti

Tenacia e fede. Bipolare: col che, di difetti ne ho elencati a centinaia.

Cosa ti piace, del mondo culturale italiano?

Il fatto che spesso sia poco ordinato.

Cosa invece trovi faticoso?

Che (ma questo vale per tutto il paese) rancore, malevolenza e micromegalomania rappresentano una spinta più forte di quella che dovrebbe supportare le cose fatte per bene, con idee intelligenti e onestà (iniziative, case editrici, piccole imprese, libri, idee…).

Stai lavorando al nuovo romanzo: quando uscirà? Ci anticipi qualcosa?

Ci lavoro ormai da tre anni, notte e giorno. Sono in dirittura di arrivo. Dovrebbe uscire nell’autunno del 2014, o poco più in là. Sempre con Einaudi. Sarà un romanzo lungo, e mi auguro molto bello, nel quale credo di aver messo a frutto tutto ciò che ho imparato sull’arte di raccontare storie. È un libro diverso da Riportando tutto a casa, almeno quanto quest’ultimo lo era rispetto a Occidente per principianti. Scrivendolo, avevo l’impressione di aggirarmi tra le stanze di una casa molto antica che tuttavia iniziava a esistere solo perché c’ero io ad aprire una porta dopo l’altra. Saranno i lettori a giudicare.

Sei conduttore di Pagina3, la rassegna quotidiana delle pagine culturali trasmessa da Radio3. Salutaci con una questione che ti sta a cuore.

Radio3. Radio3 mi sta a cuore. È uno dei pochissimi posti in cui si può fare ancora servizio pubblico. In quale altra trasmissione nazionale ci farebbero parlare (alle nove del mattino, che per la radio è un orario ottimo) di Alice Munro, Jonathan Littel, Winfried Sebald e Mario Vargas Llosa, o ci farebbero leggere per intero un pezzo di Agamben o di Kuhn o di Feyerabend, lasciandoci anche il tempo per ricordare non solo Frank Zappa ma anche Stefano Tamburini? Lunga vita a Radio3. E anche a Pagina3!

E adesso salutaci con dal saggio Babbo Natale. Ovvero come la Coca-Cola ha colonizzato il nostro immaginario collettivo (Fazi, 2005). Una colonizzazione.

I gufi non sono quello che sembrano, diceva sempre il David Lynch di ‘Twin Peaks’. E neanche Babbo Natale.

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4 risposte a NICOLA LAGIOIA

  1. Patrizia Debicke ha detto:

    🙂

  2. maria ha detto:

    aspetto con ansia il tuo nuovo romanzo

  3. Enzo Pallotta ha detto:

    Ciao,
    ti sto per chiedere una cortesia.
    Vorrei chiedere a Nicola Lagioia se esistono corsi (seri) di scrittura a Bari. Puoi intercedere? Non saprei come contattarlo (hovisto che ha teewter, ma io no).
    Buona giornata

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