Rubricate: La congiura di San Domenico di Patrizia Debicke van der Noot

debicke_copertina_Recensione di Caterina Falconi

Un arguto e colto ufficiale della guardia svizzera, dai capelli di un biondo così pallido da essere quasi leggendari e celesti occhi penetranti, il leutnant Julius Aloysius Von Hertenstein, sentinella di Giulio II, è incaricato di indagare, assieme al senatore Ercole Marescotti, su un atroce delitto commesso nella Basilica di San Domenico, il 26 novembre del 1506. La vittima è un giovane e spietato inquisitore pugnalato con un crocifisso, il cui cadavere incoronato da un gatto nero strangolato con il cordone del saio pare profanato in un rito satanico. L’omicidio è così eclatante da comportare la sconsacrazione della chiesa e l’intervento immediato dell’autorità pontificia che dovrà individuare al più presto gli assassini perché si possa procedere alla riconsacrazione.

Siamo a Bologna, la corte di Giulio II risiede temporaneamente nel Palazzo Accursio. Le guardie svizzere, fedelissime al pontefice, nelle loro sgargianti uniformi, sono invece alloggiate nel Palazzo del Podestà. Sullo sfondo della vicenda, una città minuziosamente descritta e il grande Rinascimento, con la sua fioritura nelle corti di Bologna, Mantova, Ferrara, Roma, a cui costantemente l’autrice fa riferimento, con una rara sapienza storica e una dovizia di particolari frutto di accuratissime ricerche.

E se il colto leutnant Hertenstein, al pari degli altri ufficiali svizzeri, si dimostra un uomo emancipato dalla superstizione, mentre Giulio II, con le sue eccentricità, è molto più uno stratega che un pontefice e si diverte a sventare complotti e a promuovere l’arte in una sorta di benevolo delirio di onnipotenza, così come gli alti prelati che lo circondano sono principalmente narcisi, edonisti, traffichini e soldati e tutti costoro rappresentano appunto le tipologie di una civiltà, la rinascimentale, che non può sottrarsi al conflitto con la mentalità oscurantista del peggior medioevo, ossessionata dal diabolico, che ancora serpeggia nelle canoniche, nelle sale di tortura dell’Inquisizione, nelle stanze segrete di certi palazzi, la Bologna che li accoglie è un mondo variegato e suggestivo che ha qualcosa dell’incanto dei presepi in cui ogni dettaglio è verosimilmente e accuratamente riprodotto. Locande, dimore, strade, chiese, casolari e pascoli dell’epoca, ricostruiti sulla pagina con una sapienza orafa, sono lo scenario della lotta tra il potere sontuoso e illuminato di Giulio II e il distorcente fanatismo religioso dei suoi avversari.

La ragione e la sensualità, rappresentate magnificamente dal leutnant Hertenstein, uomo dall’intenso glamour e non a caso descritto come possente, luminoso di pelle e capelli, nella sgargiante uniforme, sono avversate con odio psicotico dal fosco Fra’ Gaudioso, capo degli inquisitori sadico e pervertito. Due tipologie le loro, in fondo universali, che, come il Rinascimento rispetto a un certo Medioevo (perché il Medioevo fu anche un’epoca di grande civiltà), sono metafore della contrapposizione tra l’anelito alla ragione e alla bellezza, e il suo contrario: il fanatismo religioso pruriginoso e omicida di chi agisce nell’ombra i crimini stigmatizzati dal pulpito.

Attorno all’enigma dunque, della barbara uccisione del giovane inquisitore, che presto si rivela una messa in scena, iniziano progressivamente a svelarsi retroscena spaventosi che arrivano a includere l’uccisione di un bambino e la scoperta di un breviario in una lingua misteriosa. Personaggi minori sapientemente cesellati, al pari delle statuine dell’orologio sulla piazza che il leutnant sogguarda nelle sue peripezie, fanno la loro entrata ad effetto al momento giusto (perché la narrazione della Debicke è un ingranaggio bilanciato e perfetto). Ciascuno di essi rappresenta una categoria del multiforme e contraddittorio sottobosco umano nel Rinascimento. La conturbante erbolaria Maria di Bezzo, accusata di stregoneria. Fosco Murri, magister emerito in medicina. Il doctor artium Luca Gaurico, esperto in vaticini. La madre superiora di nobili natali. Incantevoli le figure dei bambini. Piccoli mendicanti dai soprannomi pittoreschi, il Passero, il Lepre, che assoldati dal Podestà battono la città raccogliendo preziose informazioni. E se la trama talvolta assume l’andamento compiaciuto della fiaba e Patrizia Debicke si diverte a inserirvi personaggi celebri come Michelangelo Buonarroti, Machiavelli e Ludovico Ariosto, attribuendo loro le caratteristiche piluccate dalle cronache dell’epoca, o indugia nella descrizione di un piatto, di un arredo, l’intreccio narrativo non ne risente. Con metodo e acume, che si aggiri per i parlatori di un monastero, o cada nelle braccia della bellissima Angela Borgia, nel corso di una caccia con i falchi o nelle stanze del pontefice, infatti, il biondissimo ufficiale svizzero non cesserà di scavare alla ricerca della verità, fino alla risoluzione dell’enigma, anzi degli enigmi, celati nel convento di San Domenico.

Un romanzo, questo di Patrizia Debicke, pubblicato da Todaro ed esemplare sul fronte dell’onestà della scrittura. Si percepisce nitidamente, sotteso a ogni pagina, il grande lavoro di ricerca. Persino la descrizione di una tavola imbandita, delle stoviglie, degli ingredienti di una minestra, è l’evidente esito di incursioni nella storia del costume e dell’alimentazione. E se lo sguardo dell’autrice è palesemente incantato e compiaciuto dallo sfarzo delle corti e dai giochi di potere dell’epoca, è nondimeno attento alla vita dei commercianti, degli artigiani, dei poveri e di tutta quella umanità che le grandi vicende hanno sempre messo in ombra.

I dialoghi spontanei e freschi vivacizzano la narrazione.

Notevoli le descrizioni degli interni e dei paesaggi.

Un romanzo che pare un puzzle tridimensionale ed è così ben congegnato da essere perfetto anche per una rappresentazione cinematografica.

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2 risposte a Rubricate: La congiura di San Domenico di Patrizia Debicke van der Noot

  1. Patrizia Debicke ha detto:

    Evviva, grazie

  2. Pingback: Todaro editore

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