“Il Cainita” di Luca Occhi (Damster Comma #21)

Recensione di Claudio Guerra

Luca Occhi, imolese, giunge alla pubblicazione del suo primo romanzo dopo una lunga e onorata militanza fra gli autori dei racconti. Una esperienza ben sedimentata che si vede bene in questo thriller dove però la tendenza alla frammentazione delle storie si ricongiunge in un corpo unico abbastanza convincente.

Abbiamo infatti lo scheletro principale, dove un serial killer si è addossata la missione di eliminare le “brave persone”, quelle proprio troppo buone, in barba alle forze di polizia e in particolare al commissario Rinaldi, non particolarmente brillante,almeno secondo i colleghi, ma onesto fino al limite della coglionaggine , se così si può dire. Mentre l’escalation dei delitti stermina religiosi e laici in odore di santità, accidiosi e mafiosi ravveduti, il caso viene tolto di mano al nostro che era riuscito quasi a mettere il sale sulla coda all’assassino, avendo però pagato con la morte di un collega il solito particolare che senti che ti sfugge ma che non sai quale sia. Però il misterioso “Cainita” ha a sua volta adocchiato il segugio che era sulle sue tracce e instaura con lui un contatto privilegiato, mentre le ingenti forze subentrate continuano a restare con un pugno di mosche in mano.

Da questa ossatura principale si dipartono, alla chiusa di ogni capitolo, dei flashback che sono veri e propri brevi racconti di crimini ispirati dallo stesso ideale che anima l’assassino. Nove storie poste a lato, il cui tenue legame con la catena di delitti che si sta svolgendo ai giorni nostri sta nel costituirne l’antefatto ideale, con la loro ambientazione in diversi periodi storici. Dall’attentato di Sarajevo, che fu pretesto per la Prima Guerra Mondiale, fino alla provincia dell’Impero d’Oriente nei turbolenti anni di Giustiniano. Scaglionati  quindi in un conto alla rovescia irregolare fino a raggiungere l’epoca in cui tutto sarebbe cominciato, o comunque l’ultima volta in cui un “Cainita” avrebbe cercato proseliti alla luce del sole. Ogni rievocazione storica termina con una breve preghiera eretica nella lingua in uso al protagonista del racconto.

L’autore, nel risvolto di copertina, dichiara il suo amore per Borges e proprio da questi, da alcuni dei suoi racconti, gli è derivata l’idea di trasformare una setta gnostica del II secolo, che disconosce il Dio della Bibbia, anzi ne inverte il ruolo e la polarità, nella fonte ispiratrice di altre sette dedite all’assassinio o di singoli sterminatori seriali. Non riesce però a dare completa corresponsione all’altro suo amore dichiarato, quello per King, né in dimensioni né in inattaccabilità dell’insieme. Certo siamo alla prima prova ad ampio respiro, affrontata con entusiasmo salgariano, ma il muscolo posto su articolazioni e tendini a volte non copre abbastanza e non giustifica appieno il movimento con il quale la vicenda si sposta. Ma la storia c’è ed è un piacere leggerla.

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