QED, intervista a Pina Labanca

di Sacha Rosel

Pina Labanca è una donna imprenditrice di Tortora, provincia di Cosenza. Dopo vari anni di esperienza lavorativa in campo editoriale come scrittrice, editor e responsabile editoriale, ha deciso di aprire una casa editrice chiamata Qed, e ho dunque deciso di intervistarla per conto di Libro Guerriero per saperne di più.

1. Come è nata l’idea di aprire una casa editrice indipendente?

    È stata una scelta presa alla fine del decennale rapporto con il Gruppo Editoriale Bonanno. Dopo un breve periodo di pausa, necessario per ricaricare le pile e per ragionare attentamente se questo fosse il passo giusto, ho deciso di mettermi in gioco e di continuare a mantenere viva quella straordinaria rete di rapporti umani e culturali che si era venuta a creare negli anni con gli autori. Proprio loro mi hanno incoraggiata e aiutata a sciogliere qualche dubbio e a superare qualche timore. Naturalmente sono consapevole del rischio e della responsabilità, anche perché il panorama editoriale è affollato e le pubblicazioni sono ormai davvero tante.

    1. Da dove nasce il nome che ha scelto?

    Qed è l’acronimo di Quod erat demonstrandum, locuzione latina per Come volevasi dimostrare. Perché tutto può essere dimostrabile, persino i dubbi e le incertezze, ed è ciò che ci piace di più. L’auspicio è quindi che si instauri una relazione virtuosa di scambio di idee e riflessioni tra gli autori e i lettori.

    1. Su quali generi si specializzerà?

    Narrativa (romanzi e racconti), che verrà ospitata nella collana Kosmos; saggistica (discipline umanistiche principalmente) per la collana Hyle; avremo anche uno spazio per la poesia nella collana Steresis.

    1. Perché secondo lei è importante fare cultura oggi in Italia?

    La cultura è connessa al mondo, entra nel processo di costruzione della propria identità, è una funzione della società e ha una funzione nella società. Lo è perché esprime i valori, le idee, la creatività di un paese; è l’espressione di un popolo. Educa, forma, indica e indirizza verso oltre e verso l’alterità, permette l’evoluzione e talvolta anticipa i tempi. Viviamo in un periodo storico-sociale particolare perché spesso fazioso e in cui zoppica il senso critico in favore delle lunghe falcate della superficialità e della velocità. Credo, quindi, che il mondo culturale sia chiamato al massimo impegno coinvolgendo le nuove generazioni, tendendo a un’ulteriore crescita collettiva che possa fornire anche una possibilità di critica sociale, un modo per smascherare ideologie e luoghi comuni. Un popolo senza cultura, forse neanche si potrebbe chiamare tale.

    L’intervista continua a p. 2

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