“Come girare il mondo gratis” di Enrico Franceschini Baldini+Castoldi


Recensione di Patrizia Debicke

Un eccellente ed effervescente compendio di memorie di un giramondo, corrispondente per l’estero di un grande giornale e un ottimo manuale di istruzioni per tanti giovani talentuosi o meno che guardano sconsolati al futuro senza rimboccarsi le maniche. Sissignori, perché dimenticare l’accogliente e caldo abbraccio casalingo, rimboccarsi le maniche, radunare i risicati quattro risparmi e, se si coltiva un qualche sogno purchessia, darsi una mossa e partire coraggiosamente all’avventura è il primo comandamento che ci impartisce Enrico Franceschini in questa che mi piace  definire Bibbia per principianti volenterosi.
Certo che, come poi lui spiegherà doviziosamente, conta molto anche aver un pizzico e più di fortuna, quella non guasta mai, ma prima di tutto la fortuna bisogna anche andarsela a cercare, scoprirla se serve in fondo a un pozzo, saperla cogliere al volo, quando si presenta  e soprattutto desiderarla e volerla fortemente senza mai tirarsi indietro. Senza se e senza ma. Un lavoro, o più giusto dire una professione la sua, il corrispondente dall’estero, auto inventata con un’ intraprendenza e creatività fuori dal comune, supportata da una tenace forza di volontà.
Ammetto che la parte del libro che mi ha più favorevolmente colpito soni gli inizi, i primi anni newyorkesi, sostenuti dalla faccia tosta e dalla ferrea determinazione di un ragazzo di meno di ventiquattro anni, una laurea in giurisprudenza strappata dopo gli esami di gruppo in collettivo, con il sogno di diventare un reporter a seguito di una tenace e sottopagata esperienza di articoletti sul basket in testate sportive e nel Carlino Sera. E la sua coraggiosa scelta di voler partire all’avventura,  imbarcandosi  a Bruxelles su  una carretta dei cieli con appena 1.000 dollari, frutto della vendita della sua Dyane  e in tasca un biglietto di ritorno pagato a dodici mesi, con solo poche parole d’inglese imparate a scuola, neppure in grado di capire la lingua, con per unico punto fermo un nome e un indirizzo di un coetaneo americano conosciuto e frequentato a Bologna nel 1977. L’arrivo, lo sconfinato aeroporto,  le generosa accoglienza dell’amico e dei suoi genitori, le tante lettere di proposta scritte ansiosamente a piccoli giornali italiani di provincia e infine il balzo nel vuoto a New York , i grattacieli e la prima casa americana, un buco quasi sui tetti  a Hell’s Kitchen,: la Cucina dell’Inferno, quartiere portoricano di midtown Manhattan.

(la recensione prosegue a p. 2)

Questa voce è stata pubblicata in Uncategorized. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento