“Happy (hippy) family” di Stefania Nascimbeni (Morellini Editore)

Recensione di Raffaella Tamba

Un contesto sempre più diffuso, chiacchierato dalle vecchie generazioni – se non già progressivamente aperte – a volte guardato “a sopracciglio alzato” anche dalle nuove, ma nel quale sempre più persone oggi si riconoscono, quello della famiglia allargata. Una realtà che Stefania Nascimbeni (giornalista milanese con già diverse pubblicazioni di successo all’attivo) ci presenta con piglio frizzante e coinvolgimento autobiografico, al massimo della sua estensione: non solo è allargata la famiglia di origine della protagonista, per un precedente matrimonio del padre, non solo si allarga sempre più nel diramarsi delle relazioni dei fratelli, ma anche la sua personale si avvia verso quella conformazione.  Ma non tanto per il suo precedente matrimonio, quanto soprattutto per la sua capacità di includere nella family anche gli amici e gli amici degli amici che diventano suoi, in una felice trasposizione del termine family da sostantivo in aggettivo affiancato a friends. Il capitolo dedicato ai family friends è emblematico di un contesto familiare che include anche gli amici speciali: “Ciascuno di loro era unico, ma insieme diventavamo invincibili”. A questo punto, potrebbe essere proprio la famiglia classica come l’abbiamo sempre concepita, ad essere guardata “a sopracciglio alzato”, perchè riduttiva e chiusa. 

Happy (hippy) family, intervista alla scrittrice Stefania Nascimbeni

Il romanzo si sviluppa come un diario, senza riferimenti cronologici: le tappe non sono i giorni della settimana o i mesi, ma gli step di un percorso di formazione che l’autrice racconta dall’arrivo, da un traguardo che vede solo dopo averlo oltrepassato. E si volta indietro, per guardarsi in tutta la corsa ad ostacoli sostenuta, con orgoglio per avercela fatta ma soprattutto con la calda consapevolezza di avercela fatta non da sola ma insieme. Insieme a tutti i coloriti personaggi del romanzo, chiamati non col nome proprio ma con appellativi che li rivestono di una tenerezza particolare. Ad esempio, mamma geisha è identificata sempre con questo aggettivo che ironizza sull’asservimento totale al marito ma nell’accostamento delle due parole e nel contesto in cui le utilizza, l’autrice mette tutto un insieme di sentimenti che ne esprimono la delicata determinazione.

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