“D’amore e di rabbia” di Giusy Sciacca (Neri Pozza)

#grandangolo di Marco Valenti

Ho fatto conoscenza con il mondo di Giusy Sciacca una manciata di anni fa. Erano i tempi del suo esordio letterario. Erano i tempi di “Virità, femminile singolare-plurale”, collage tutto femminile dedicato alle donne che, a loro modo, e a vario titolo, hanno fatto la storia della Sicilia. La ritrovo oggi, duemilaventiquattro con quello che a tutti gli effetti è il suo primo romanzo, “D’amore e di rabbia”, edito da Neri Pozza.

Siamo nuovamente in Sicilia, e più precisamente a Lentini, in un territorio che si divide tra le province di Siracusa e Catania. È qui che Amelia Di Stefano ha scelto di ritirarsi, dopo la sua dipartita dalla sua città natale e dalla sua famiglia. Ha lasciato i salotti buoni della città etnea schiacciata dai pregiudizi, dalle malelingue, e dalla vergogna che i genitori che non hanno mai fatto mistero di averla ripudiata. Per non cadere nell’indigenza Amelia ha scelto di scendere a compromessi con la famiglia locale più in vista, i Beneventano, padroni latifondisti ed esponenti della baronia locale. Consapevole di vivere in una gabbia dorata, di quelle in cui i gli uccelli, come riportato da un proverbio siciliano, cantano e urlano d’amore e di rabbia, Amelia accetta il ruolo di “donna oggetto” del primogenito e si piega a ogni sua richiesta, in cambio di vitto e alloggio.

È il 1922. La prima guerra mondiale si è appena conclusa, e sta per affacciarsi il ventennio fascista con tutte le sue aberrazioni. Amalia si annoia, chiusa nella prigione dorata della sua magione, che condivide con il primogenito dei Beneventano, ma anche con la moglie di lui e i figli. Le strade sono bagnate dal sangue delle rivolte tra i braccianti locali che hanno perso il lavoro, e i signorotti, i latifondisti che hanno scelto di convertire le terre in pascoli, di fatto escludendoli dalla catena lavorativa. È uno scontro di classe a tutti gli effetti. Che non risparmia niente e nessuno.

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