Flannery O’Connor, “Un brav’uomo è difficile da trovare” (minimum fax)

Le difficoltà causate dall’atroce malattia che spesso le impedirono di viaggiare per pubblicizzare i suoi scritti, sommate alle perplessità della critica davanti alla sua “narrativa deliberatamente sensazionalistica e stranamente ‘cristiana’ (p. 272), furono indubbiamente le cause principali delle magre vendite delle prime pubblicazioni dell’autrice, non certo la mancanza di talento e originalità. Ironicamente, la fama di Capote soprattutto, si è ridotta parecchio, mentre, con l’andar dei decenni, la reputazione di O’Connor è cresciuta ininterrottamente, diventando:

“Oggetto di culto per intere generazioni di scrittori (da Elizabeth Bishop a Raymond Carver alle nuove leve della letteratura americana) ma ormai introvabili, tornano in libreria grazie a minimum fax i saggi sul mestiere di scrivere di Flannery O’Connor, una delle più celebrate autrici americane del Novecento” (sito minimumfax).

La raccolta Un brav’uomo è difficile da trovare include il racconto dal titolo omonimo, il più celebrato dei racconti dell’autrice pubblicato nel 1955. Il titolo del primo racconto è profondamente sarcastico. Per una volta la traduzione letteraria italiana coincide con l’originale inglese, ma non è facile cogliere il crudele significato a cui si riferisce l’autrice.

Originalmente, il concetto dell’impossibilità di trovare un uomo buono, risale alla Bibbia di Re Giacomo (Michea 7:2) secondo cui non c’era più nessun uomo giusto tra gli uomini, al contrario, tutti si davano la caccia e non esitavano a spargere sangue. Il nocciolo del racconto di O’Connor evidenzia il significato arcaico del detto, illuminando la sua fede, e, allo stesso tempo, dando in dotazione al lettore gli elementi per capire i motivi dello sviluppo di personalità malvagie. Invece, nel XX secolo, la massima ha un’accezione di genere. Al contrario dell’affermazione secondo la quale solo l’amore di “a good woman” (in italiano avrebbe tutt’altro significato!), può salvare un uomo, le donne invece non riescono a trovare uomini buoni. Sia nella versione del 2018 del cantautore afroamericano Eddie Green, “A good Man is Hard to Find”, cantautore afroamericano Eddie Green sia in quella di Bessie Smith popolarissima cantante jazz del 1929. Entrambi, lui uomo, lei donna, lamentano l’impossibilità da parte delle donne di trovare un brav’uomo. Green pone l’enfasi sull’inganno, invece del buono trovi l’altro, quello che scherza con un’altra ragazza, mentre Smith si concentra sulle conseguenze che ha avuto l’incontro con l’uomo dell’altro tipo che la tratta in modo malvagio e le ha spezzato il cuore fino a farle rimpiangere di essere mai nata. Il tema della donna maltrattata rifletteva la realtà dell’ambiente jazzistico e non solo.

Nei racconti di O’Connor invece è anche difficile trovare donne buone.

L’autrice riprende l’espressione popolare portandola all’estremo nel primo racconto, “Un brav’uomo è difficile da trovare”, nel quale un evaso dal carcere, percorrendo strade sterrate della Georgia con i complici, si ferma per soccorrere una tipica famigliola americana con la nonna e il gatto, dopo un incidente. L’incipit gioioso, il tono scherzoso e leggero viene interrotto da elementi che disturbano l’atmosfera iniziale prima del road trip, e diventano via via più minacciosi (foreshadowing) creando un tira e molla tra la suspense e il distacco.

I personaggi dell’autrice sono spesso dei disadattati, monchi fisicamente ma non solo, bizzarri e contemporaneamente agghiaccianti. Lo stile diretto, “sfacciatamente melodrammatico” (Oates, p. 270) che ricorda anche il kitchen-sink drama, il ritmo serrato del crescendo narrativo, la rappresentazione caricaturale dei personaggi e la ‘comicità aspra’ sono elementi fondamentali della narrativa di O’Connor. Insomma, il suo stile narrativo è in netto contrasto con i racconti alla moda di predecessori quali Joyce, James e Cechov, e anche quello di autori a lei contemporanei come Katherine Anne Porter e Jean Stafford, noti per la sottigliezza e la loro raffinatezza e sobrietà (Oates, p. 270). Nelle sue storie tutto si svolge in modo rapido e feroce davanti al lettore similarmente alla violenza nelle vignette dei cartoon:

Ma tu sei uno dei miei bambini. Sei uno dei miei figli! Allungò la mano e gli sfiorò la spalla… [lui] si ritrasse con un balzo come se fosse stato morso da un serpente e le sparò tre colpi al petto…. Sarebbe stata anche una brava donna, disse, se solo qualcuno le avesse sparato ogni minuto della sua vita (p. 38).

L’ironia colpisce chi si fida dei cliché, chi si ritiene superiore perché ha studiato e / o appartiene a un gruppo sociale privilegiato e giudica gli altri inferiori e stupidi. Nella narrativa di O’Connor anche i personaggi femminili sanno essere meschini ed egoisti. Conformiste, bigotte, razziste si affiancano a donne spezzate dalla fatica che a volte diventano vittime della loro presunzione: “Non poteva essere un cancro. Madam Zoleeda aveva predetto che alla fine l’aspettava un colpo di fortuna” (p. 95). In “Un colpo di fortuna” la protagonista dai capelli color lampone, “fatta pressappoco a forma di urna funeraria” (p. 79), si crede superiore ai suoi fratelli, l’unica ad avere spina dorsale. Quando intuisce il contrario, sfoga tutta la sua “collera repressa” (p. 79): “Noooo! …No. No… Trasalì: uno sparo in fondo alla tromba delle scale… vide Hartley Gilfeet con due pistole spianate… (pp. 94, 95).         

“Brava gente di campagna” invece, capovolge lo stereotipo universale racchiuso nel titolo. Uno stravagante venditore ambulante di bibbie si presenta presso una villa padronale e, facendo leva sul puritanesimo della padrona di casa, spera di farle sganciarle dei soldi: “Sono un ragazzo di campagna… Alla gente come lei non piace perdere tempo con un campagnolo come me! Ma quando mai!… La brava gente di campagna è il sale della terra!” (p. 195). Fidandosi del ‘bravo’ ragazzo, Mrs. Shortley, la cui figlia è rimasta monca dopo un incidente ma è riuscita comunque ad arrivare al dottorato in filosofia, gli concede di passeggiare con lei nel parco. Seguono vari incontri-scontri argomentativi tra l’ambulante e la filosofa, la quale lo prende in giro per la sua presenta fede. Un giorno la madre vede il venditore nuotare nel lago e, ignara dell’accaduto (che non vi rivelo), esclama ecco quel “bravo ragazzo noioso che ieri ha cercato di vendermi una Bibbia… Era proprio ingenuo…ma credo che il mondo andrebbe meglio se fossimo tutti così ingenui (p. 212).

Mentre Mrs. Shortley se la cava con la condiscendenza ironica dell’autrice, la muta condanna per chi si vuole liberare di figli disabili ne “La vita che salvi potrebbe essere la tua” emerge dalle conseguenze di tale atto. In questo scabro e scarno racconto una vecchia regala la sua auto a un vagabondo monco purché accetti di sposare la figlia ritardata e se la porti via.

Anche gli scettici che si rivolgono a uomini di fede per essere salvati e si fanno gioco di chi crede vengono puniti (Il fiume). Al contrario, ne “Un Tempio dello Spirito Santo”, l’autrice critica le istituzioni cattoliche.  Mentre in “Il negro artificiale” capovolge il modo in cui un ragazzino che visita la città per la prima volta percepisce i ‘negri’.

In “Un cerchio nel fuoco”, dopo essere stati sfamati in una fattoria da una gentile signora rimasta sola con la figlia, dei ragazzini itineranti, danno sfogo alla loro cattiveria. Il racconto è in contrapposizione con “Il profugo” nel quale una spietata proprietaria terriera vedova, ritenendosi superiore ai suoi ‘fittavoli’, tra i quali c’è un profugo europeo proveniente dai lager, se ne serve e li sfrutta in modo cinico, con inaspettate conseguenze.

Infine, in “Un incontro tardivo col nemico”, uno dei racconti più brevi e caustici, la scrittrice ci presenta in poche righe uno scenario assurdo: l’assegnazione del diploma a un arrogante confederato di 104 anni, che si crede immortale, accompagnato sul palco in sedia a rotelle dalla nipote di 62 anni.

Ma l’empatia della scrittrice, per chi se la merita, non manca. Ne è esempio il servitore nero di nome Roosevelt, il quale scoppia in lacrime quando il suo padrone muore davanti ai suoi occhi, e altri personaggi ‘diseredati’, siano essi bianchi o neri, donne o uomini.

Nonostante i traumi vissuti e la sua precoce morte a trentanove anni nel 1964, nella sua breve vita non si arrese mai alla malattia, riuscì ad andare in Europa e, non smise mai di scrivere, neanche in fin di vita. “la voce più rappresentativa della narrativa sanguigna ed espressionista del Sud degli Stati Uniti, insieme a William Faulkner” (dal sito di minimum fax) pubblicò più di 30 racconti, 2 romanzi, diverse antologie di saggi e più di cento recensioni. 

Flannery O’Connor è un’antesignana di generi e tecniche narrative. Intertestuale prima che esistesse l’inter-testualità (pensiamo al molto più recente Jazz di Toni Morrison). Nei suoi scritti ci sono riferimenti impliciti ed espliciti alla bibbia, testi musicali e altri testi letterari. Per prima ha usato tecniche del fumetto, ad esempio la caratterizzazione, soprattutto dei ‘cattivi’ nel racconto noir per farli apparire comici o grotteschi facendoli diventano marionette mosse dalla penna inflessibile di chi tira i fili: la spietata scrittrice con la quale la vita era stata a dir poco crudele che se lo meritano, per troppa ingenuità o disumanità.

Al centro dell’opera di O’Connor non c’è la brillante multidimensionalità del modernismo, ma la bidimensionalità della vignetta elevata a forma d’arte (p. 283).

La caricatura è una forma d’arte minore o secondaria, se paragonata a quella che potremmo chiamare l’arte della complessità o sottigliezza? L’arte della vignetta è inevitabilmente inferiore all’arte ‘realista’? Il caricaturista ha il vantaggio di essere crudele, brutale, riduttivo e spesso molto divertente…. Impugna un martello… e prende l’obiettivo a colpi di mitragliatrice, trasformando quella che potrebbe essere rabbia…. In un umorismo devastante…. Non c’è da stupirsi che O’Connor abbia cominciato la sua carriera di artista disegnando strisce a fumetti… (Oates, p.283).

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