La religione dei magiari pagani di Vilmos Diόszegi (Vocifuoriscena)

Diόszegi aveva la convinzione che lo sciamanesimo rappresentasse una sorta di strumento per la ricostruzione della storia dei popoli senza storia scritta. Era quindi interessato alla mitologia ungherese, alla fede sciamanica o all’arcaico patrimonio di credenze ungheresi, evitando così di dichiarare lo sciamanesimo una vera e propria religione prima dell’adozione del cristianesimo e prima dell’occupazione dell’attuale patria da parte degli ungheresi ovvero l’insediamento nel bacino dei Carpazi avvenuto nel 895 e chiamato con termine tecnico Honfoglalás. La separazione della comunità dei parlanti proto-ungherese dai loro parenti ebbe luogo migliaia di anni fa nel V secolo a.C. e da allora tutti i contatti linguistici e culturali sono cessati tra loro. Possiamo far affidamento solo sui testi redatti da altri popoli in cui vengono menzionati i magiari, sui reperti archeologici o sul folclore. Questi materiali conservano tracce dello sciamanesimo degli antichi ungheresi ed elementi riguardanti la loro visione del mondo sono riscontrabili nel folklore, nelle fiabe, nei canti popolari, nelle poesie-filastrocche per bambini ed è compito degli etnografi analizzarne il contenuto. Il cristianesimo, partendo da un principio di superiorità, fece sì che venissero distrutte le memorie spirituali e materiali dell’antica fede pagana.

La questione delle credenze dei magiari pagani viene affrontata scientificamente a partire dalla fine del diciottesimo secolo. Dall’inizio del diciannovesimo sono state pubblicate descrizioni e annotazioni sulle credenze popolari di alcuni territori e gruppi etnici in riviste e monografie regionali. Il metodo comparatistico di Diόszegi consiste essenzialmente in un’analisi in due fasi: in primo luogo l’etnografo confronta alcuni elementi delle credenze popolari dal carattere etnico prevalenti nell’intera popolazione ungherese con le credenze corrispondenti dei popoli limitrofi; poi, partendo dal presupposto che ciò che non si trova presso i popoli limitrofi potrebbe far parte dell’eredità antica, cerca riscontro per i tratti che esistono solo presso gli ungheresi nei componenti corrispondenti delle credenze sciamaniche dei popoli geneticamente affini e dei popoli che una volta erano collegati a essi. Diόszegi riuscì a trovare un numero così elevato di corrispondenze da cui era possibile compilare una struttura e una concezione che formano un insieme organico ovvero l’eredità dei magiari pagani le cui credenze sciamaniche sopravvivono ancora nella cultura popolare. Le attuali credenze popolari ungheresi relative all’arcaica concezione del mondo e al táltos ovvero allo sciamano magiaro vennero confrontate con le concezioni sciamaniche degli ugro-finni e con quelle dei popoli siberiani per vedere se costituissero antichi elementi tipici dello sciamanesimo. La disamina di Diόszegi, condotta in svariati ambiti e territori, ha portato alla conclusione che molte credenze ungheresi risalgono all’epoca dell’Honfoglalás. L’albero che tocca il cielo con il sole e la luna tra i rami, il regno dei serpenti, delle lucertole e delle rane, le anime che attorniano l’albero cosmico, l’anima di vita e l’anima libera, come pure l’anima duplice erano elementi caratteristici della vita degli ungheresi pagani. La selezione del candidato táltos, anticipata da una malattia, il suo sonno prolungato, la sua letargia e l’acquisizione di conoscenza attraverso lo smembramento, l’iniziazione per mezzo della scalata dell’albero che tocca al cielo, il tamburo a fondo singolo con i pendagli che costituisce la cavalcatura del táltos, il copricapo fornito di corna e piume di gufo, l’albero del táltos a forma di scala a pioli e provvisto di tacche, la lotta in sembianze zoomorfe e l’invocazione degli spiriti, ricorrendo a tipici versi formulari introdotti dalle interiezioni, non costituiscono manifestazioni isolate, ma rappresentano un organico interconnesso sistema di concezione. Questo complesso trova il corrispettivo nelle concezioni sciamaniche di numerosi altri popoli, compreso quello antico siberiano. L’odierna cultura popolare magiara presenta quindi uno strato molto arcaico che affonda le radici nello sciamanesimo e costituisce appunto la religione dei magiari pagani.

Prima di Diόszegi Vilmos, la teoria dello sciamanesimo ungherese dominante nel periodo 1700-1800 non era il frutto di ricerche scientifiche comparate, ma si basava su un sillogismo teorico: gli ugro-finni e i turchi sono popoli a credenza sciamanica, i magiari sono ugro-finni, pertanto affini ai popoli turcici, di conseguenza l’antica religione ungherese non poteva che basarsi sullo sciamanesimo. Il materiale all’epoca disponibile, tutto ciò che riguardava l’antica religione ungherese e lo sciamanesimo dei popoli affini erano insufficienti per operare una comparazione basata su criteri scientifici. Verso la svolta del secolo la mole di fonti per lo studio dell’antica religione magiara cui i ricercatori potevano attingere era già sufficiente a consentire una comparazione su solide basi. Tuttavia, lo studio delle religioni con un approccio comparatistico prese avvio solamente all’inizio degli anni Venti con l’attività dell’antropologo e psicanalista Géza Rόheim (1891-1953). Questo importante campo della preistoria ungherese finì in mano inizialmente a dei dilettanti. Più tardi la conoscenza dell’antica religione magiara fu essenzialmente frutto della ricerca comparata e del lavoro degli etnografi e gli elementi della cultura popolare ungherese vennero posti a confronto con i corrispettivi riscontrati presso i popoli circostanti. Diόszegi ha lavorato sul materiale disponibile che comprendeva oltre 1200 lemmi relativi alla letteratura di argomento sciamanico, come pure i 14.000 oggetti e manoscritti sciamanici custoditi nei musei dislocati in tutto il mondo. Vennero usati anche i dati raccolti nel corso dei successivi viaggi di ricerca in Siberia (1957, 1958, 1964) e uno in Mongolia (1962). Già prima dell’occupazione della patria (Honfoglalás), dopo la conversione al cattolicesimo, le ancestrali concezioni pagane si sono naturalmente avviate verso un graduale processo di deterioramento. L’antica immagine del mondo che ne costituiva la forza di coesione come pure la fede in essa vennero meno e sempre più i suoi elementi costitutivi caddero nell’oblio. Questi tratti sopravvissero sotto altre forme come i motivi fiabeschi, i canti rituali: le credenze poterono così conservarsi fino ai giorni nostri nella cultura popolare ungherese.

Le fiabe popolari ungheresi narrano ad esempio di un albero enorme sulla cui sommità si trovano la luna ed il sole: si erge nel giardino del re un albero sul cui tronco, in una casa, sono ubicate la madre della luna e la luna, più in alto, invece, in un’altra casa, vivono la madre del sole e il sole. L’enorme albero con la luna e il sole tra i rami non è un elemento caratteristico soltanto delle fiabe e delle credenze, ma è anche presente nell’arte decorativa popolare. Il motivo dell’albero che tocca il cielo (az égigérő fa) o dell’albero senza cima faceva parte del patrimonio fiabesco magiaro come pure la concezione dell’albero cosmico, dell’albero della vita. Sono generalmente noti presso i popoli indoeuropei e secondo le ricerche più recenti, si sarebbero originati proprio presso questi ultimi. Tra la concezione degli indoeuropei e quella dei magiari si può riscontrare tuttavia una differenza sostanziale che distingue nettamente le due tipologie di alberi. Solamente nel folclore e nell’arte decorativa ungheresi figurano infatti i corpi celesti disposti sulla cima o tra i rami dell’albero. L’albero meraviglioso e l’albero che tocca il cielo o l’albero senza cima delle fiabe è l’arbor mundi sciamanico che unisce il mondo inferiore, intermedio e superiore. L’immagine dell’albero cosmico è indubbiamente una peculiarità dello sciamanesimo che vanta un’antica datazione, rappresenta l’axis mundi siberiano.

Il candidato táltos, lo sciamano delle fiabe magiare, viaggia nel mondo inferiore. Accanto al mondo inferiore cristiano (inferno-purgatorio) figurano le immagini del paese delle rane, delle lucertole, dei serpenti. Questa concezione di mondo inferiore non è tuttavia un caso isolato. L’albero del giardino dell’Eden è, infatti, un esito dell’albero cosmico. Accanto all’immagine dell’albero cosmico, che orna i barattoli e le saliere dei pastori ungheresi, ricorrono anche figure di bovini e cavalli.

Il termine ungherese per anima è lélek e deriva da lélekzet che significa “respirazione”. In ungherese esiste tuttavia anche un altro concetto di anima: quella che entra nel corpo per riposare, solamente per dormire. Quest’anima che abbandona il corpo non può coincidere con l’anima-respiro, è la seconda anima, è l’anima libera o anima ombra, forse identificabile con l’ungherese iz. Questa concezione di anima libera anticipa la concezione monistica dell’anima e ci fa capire che la credenza animistica era un fenomeno di antica datazione.

A prima dell’insediamento nel bacino dei Carpazi risale la credenza, presente nell’immaginario popolare ungherese, che ci siano persone dotate di conoscenza e di forza sovraumana, ad esempio il táltos (lo sciamano vero e proprio), il garabonciás (lo studente) e il tudόs (il sapiente).  Un táltos è destinato a tale ruolo fin dalla nascita: secondo la credenza popolare ungherese, taluni bambini, destinati ad assumere poteri soprannaturali, vengono al mondo già con i denti o con undici dita. Pertanto, tutte le leggende secondo cui il bambino nato con i denti diverrà táltos esprimono con parole diverse il concetto che il futuro táltos o garabonciás viene formato così da Dio nel grembo materno. Durante l’infanzia il futuro táltos si comporta in maniera diversa rispetto agli altri bambini. All’aspirante compaiono esseri sovrannaturali: quando compie sette anni vengono a prenderlo dei cavalli, degli spiriti o altri sciamani. All’aspirante si manifestano degli esseri soprannaturali sotto le sembianze di cavallo, toro, defunti, teste di morto o, conformemente alla religione cattolica, si manifestano la Vergine Maria, un Angelo o un diavolo. Figurano anche svariati animali come rane, cani e gallinacei.

Le credenze mangiare si riferiscono pure alla selezione di un individuo dotato di poteri sovrumani. Il prescelto si ammalava e questa malattia era caratterizzata da chiusura in se stesso, isolamento, attacchi isterici, svenimenti, visioni: la cosiddetta “malattia dello sciamano” lo tormentava per settimane e mesi, talvolta anche per anni. Inizialmente il prescelto cercava di rifiutare l’incarico assegnatogli, ma la malattia lo costringeva infine ad acconsentire. Il táltos veniva rapito, non era in sé, era soggetto a un sonno duraturo che ha qualche affinità con le visioni medievali note in Occidente, i viaggi temporanei nell’altro mondo esperiti dai visionari dell’Europa centro-occidentale. Tuttavia, questi ultimi hanno luogo senza alcuna sorta di segno premonitore, mentre nel caso ungherese la morte dell’iniziando è annunciata da numerosi fenomeni come la comparsa di esseri soprannaturali e la malattia. Il candidato magiaro deve morire perché potenze superiori lo hanno scelto per le mansioni di táltos, garabonciás o tudόs. Si tratta pertanto di una ragione che non dipende dalla sua condotta, al contrario, il viaggio nell’altro mondo intrapreso dal visionario medievale è la conseguenza della sua vita peccaminosa. Lo scopo del viaggio extracorporeo del candidato táltos è l’ottenimento della conoscenza mentre il fine dei visionari è quello di intraprendere la strada per un’esistenza virtuosa oppure per espiare i suoi peccati.

Il candidato táltos ottiene la conoscenza quando lui stesso, ovvero la sua anima viene sottratta per alcuni giorni dagli esseri sovrannaturali e, durante questo tempo, il corpo giace esanime. In questo caso il corpo viene spezzettato, smembrato. Secondo l’opinione popolare ungherese questo motivo è ben noto nel patrimonio fiabesco ungherese. L’acquisizione della conoscenza avviene nella seguente modalità: un essere soprannaturale sceglie il giovane eroe, il quale non è in grado di fare nulla, se ne sta sempre a poltrire nella cenere e per tale ragione viene anche chiamato il cenerentolo. Lo scansafatiche viene portato nell’altro mondo. Qui l’essere soprannaturale o i suoi aiutanti demoni smembrano l’eroe, ne fanno a pezzi il corpo, lo riducono in frantumi. Il ragazzo rimane smembrato per un certo periodo (un anno fiabesco della durata di tre giorni), in seguito l’essere soprannaturale rimette insieme il corpo dell’eroe, ne stringe e ne fissa le membra con fune robuste. Il giovane si ridesta e già dispone della conoscenza.

Secondo alcune credenze lo spezzettamento avviene tre volte. La funzione dello smembramento dell’eroe nelle varianti ungheresi corrisponde al motivo dell’apprendimento dai libri magici, in seguito al quale l’eroe diviene incantatore, in quanto dispone di capacità soprannaturali. Allora egli è in grado di assumere svariate sembianze zoomorfe. La conoscenza viene acquisita tramite lo smembramento.

A caratterizzare il táltos non è solo il nascere con uno o più denti, ma anche il fatto di continuare ad averne un numero superiore rispetto all’uomo comune. Il garabonciás, a volte, ha tre o quattro file di denti. Il motivo dell’osso superfluo è quindi un requisito fondamentale.

Anche nel patrimonio fiabesco ungherese è ben nota la concezione della scalata di una peculiare scala o del tronco di un albero. Una di queste tipologie di fiaba inizia narrando che nella corte del re si erge l’albero che tocca il cielo la cui natura è a tutti sconosciuta. Esso produce frutti in grado di far ringiovanire oppure lo sárkany (il drago) ha portato tra le sue fronde la principessa rapita. Di conseguenza, qualcuno deve scalare l’albero: a chi sarà in grado di portare a termine l’impresa il re concederà in sposa la propria figlia. Tutti i pretendenti (principi, duchi) falliscono, da ultimo il porcaro del re o qualche altro figlio di poveruomo intraprende il lungo cammino, si fa confezionare particolari calzature (sette paia di calzari di ferro e sette abiti in pelle di bufalo) e inizia ad arrampicarsi sul tronco dell’albero. Una volta sulla cima giunge dai cavalli táltos. Per esempio, si imbatte tra le fronde dell’albero in un castello dove entra in servizio come mandriano e i cavalli affidati sono táltos.

Questo è il motivo fiabesco della prova a cui viene sottoposto il táltos.

Il futuro táltos acquisiva la conoscenza in giovane età, di conseguenza questa prova tassativa andava superata quando era ancora un fanciullo. Il neofita veniva poi spruzzato con sangue.

I táltosok utilizzavano un tamburo magico per mezzo del quale erano in grado di assolvere compiti sovraumani come, per esempio, evocare gli esseri soprannaturali, andare a riprendere qualcuno. All’occorrenza l’obiettivo è triplice: curare gli ammalati, prevedere ignoti eventi futuri, intrecciare e disfare. Di solito il tamburo magico coincideva con il cavallo táltos delle fiabe. All’inizio delle fiabe magiare c’è un ronzino brutto e sudicio, non è lui a portare in groppa il padrone, ma è quest’ultimo a caricarselo sulla schiena. Nel frattempo, il cavallo schiatta, ma poi riprende a vivere. Il ronzino sudicio, solo dopo essere stato lavato dall’eroe con acqua, diviene un cavallo táltos. Prima di partire per qualche impresa, l’eroe deve foraggiare il cavallo con carne o latte o braci ardenti, così può diventare un destriero táltos. Il cavallo táltos con il proprietario in groppa lascia la terra e si solleva in aria, recandosi dove vuole. È probabile che in questa singolare immagine del ronzino nutrito con brace si conservi la traccia dell’agire dello sciamano nei riguardi del proprio tamburo: prima di iniziare la rumorosa percussione; quindi, prima della “cavalcata”, un momento indispensabile consisteva nel passare il tamburo sopra il fuoco.

Tra i magiari vive anche la leggenda che dal giorno di Santa Lucia fino alla sera di Natale si impagliava la sedia di Santa Lucia (lucaszék), dopodiché quest’ultima veniva portata fuori e ci si metteva a sedere in corrispondenza di un crocicchio dopo aver tracciato un grande cerchio con una gamba della sedia stessa. Chi sedeva sulla seggiola in mezzo al cerchio vedeva a mezzanotte chi tra i fedeli in attesa della messa era uno stregone o una strega (boszorkány) perché aveva in testa corna grandi come quelle di un cervo.

Sulla testa degli sciamani troviamo sempre, infatti, un copricapo corrispondente a quello della concezione magiara. Il copricapo piumato con piume di volatile o il copricapo sciamanico fornito di corna doveva essersi sviluppato già in epoca antichissima.

I táltosok erano individui che, quando venivano colti dall’estasi, iniziavano a vagabondare. Anche le fiabe, leggende e credenze ungheresi parlano di questo fenomeno del nascondimento (rejtőzés). La cultura popolare ungherese conosce, difatti, due tipologie di contatto con gli esseri sovrannaturali: lo spirito compare al soggetto in preda all’estasi o l’anima in estasi si reca nell’altro mondo tra gli spiriti.

Tra i popoli europei come presso ogni altro popolo del mondo si riscontrano episodi estatici: attraverso l’estasi è possibile entrare in contatto con gli esseri soprannaturali. Il nascondimento della credenza popolare magiara però non mostra alcuna affinità con il resto delle modalità estatiche europee. Il nascondimento o estasi è un rapimento da parte degli operatori del magico e, nella tradizione ungherese, consiste in una perdita di coscienza che si protrae per un certo intervallo di tempo. Tale fenomeno è spesso accompagnato dallo sbadiglio e dal calore collegati all’estasi. Lo sciamano sospira e sbadiglia e chiama a sé gli spiriti adiutori, spalanca la bocca per poterli inghiottire. Lo sciamano è pervaso dal calore e dal fervore.

Nelle credenze magiara e sciamanica è presente anche il motivo della lotta tra i táltosok, i garabonciások e i tudόsok. La lotta in realtà è testimoniata solamente a partire dal ventesimo secolo. Nello sciamanesimo compare sovente la lotta in sembianze zoomorfe: gli sciamani lottano, assumendo le sembianze del rispettivo animale-madre. L’animale madre, oltre ad essere un bisonte o un orso nero, può figurare anche come un enorme toro, più di rado uno stallone.

In occasione degli scontri di questi esseri straordinari nelle credenze ungheresi il táltos, accingendosi alla lotta, non fa affidamento sulle proprie forze, ma chiede aiuto ai conoscenti. Spesso riesce a riportare la vittoria solamente grazie al loro supporto. Lo scontro tra i táltosok termina con la morte. Anche la lotta tra gli sciamani termina spesso allo stesso modo. Anche secondo gli sciamani il táltos combatte coadiuvato dai propri spiriti. Se in tale frangente perisce l’animale-madre, in capo a due o tre giorni muore anche lo sciamano a cui apparteneva l’animale impiegato nella lotta.

Il canto del táltos varia a seconda del fine per cui lo sciamano esegue la cerimonia. Tuttavia, la sua finalità è costante: ordina agli esseri sovrannaturali di favorirlo, di venire a lui perché deve assolvere a un qualche compito che può portare a termine solo con l’ausilio degli spiriti adiutori. Il canto presenta, inoltre, una sezione costante, costituita dall’espressione con cui invoca gli spiriti, la quale può essere pronunciata all’inizio, nel corso dell’esecuzione, ma è d’obbligo che figuri anche al termine del canto. Solo dopo quest’ultima invocazione lo sciamano cade in estasi e gli spiriti sopraggiunti parlano attraverso lui. Gli sciamani cercano di usare non solo verbi di uso comune come “rifugiati qui” o “vieni qui”, ma si servono anche di peculiari esclamazioni a cui spesso fanno seguito le interiezioni per esortare gli spiriti ad accorrere.

Quindi, il folklore magiaro testimonia di un gruppo di canti ungheresi che viene impiegato in specifici giorni all’assolvimento di una qualche attività che oltrepassa le forze umane, una magia per propiziare l’abbondanza o la fertilità. Questi canti hanno un elemento in comune, un refrain la cui parte più caratteristica è costituita dall’interiezione haj che serve per cadere in estasi o per invocare gli esseri sovrannaturali.

I risultati delle ricerche di Diόszegi si sono conservati in numerosi lavori, monografie e saggi in ungherese e in diverse lingue straniere, ma una parte del materiale da lui raccolto deve essere ancora elaborata. Lo sciamanesimo oggi viene studiato in tutto il mondo e non si esagera affermando che l’Ungheria, sulla scia delle tradizioni create da studiosi come Diόszegi, appaia come uno dei centri di ricerca più importanti in questo campo, realtà testimoniata anche dai numerosi convegni organizzati nel tempo. La ricerca sull’atavico patrimonio di credenze ungheresi non è scomparsa dall’agenda scientifica in Ungheria dopo la morte di Diόszegi, al contrario, è proseguita ed il materiale viene continuamente pubblicato dall’Accademia ungherese delle scienze. Gli apporti riguardanti le credenze popolari del lessico etnografico ungherese si basano sostanzialmente sulle raccolte pubblicate in questo archivio folkloristico. Gli studiosi cercano di ricostruire, mediante la linguistica, l’archeologia e l’etnografia, il sistema di credenze generale dei popoli urali e, all’interno di questo sistema, definire quello degli ungheresi conquistatori del bacino dei Carpazi. La ricerca sulle credenze popolari è un’importante fonte per gli studi sulla preistoria ungherese. Inoltre, essa costituisce una componente fondamentale della cultura popolare magiara senza la cui conoscenza anche le opere d’arte possono essere interpretate con estrema difficoltà. L’opera di Diόszegi è una sintesi ben riuscita delle sue ricerche sul campo e di tutto ciò che era noto fino al momento della stesura e pubblicazione del libro (1967) di un argomento quale l’ancestrale patrimonio di credenze dei magiari pagani che non è per nulla facile da affrontare con chiarezza. Il volume, ricco di esempi illuminanti, di materiale illustrativo e di mappe che informano sulla distribuzione geografica delle credenze, lascia trasparire la mole di un impegno appassionato e tenace e di una ricerca capillare che si cela tra le righe.

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