“La famiglia è ancora qui” di Lisa Jewell, (Neri Pozza)

Recensione di Raffaella Tamba

Su sollecitazioni dei lettori che erano curiosi di sapere cosa potesse essere successo in seguito ai protagonisti del romanzo La famiglia del piano di sopra, Lisa Jewell, autrice londinese, decide dopo diversi anni, di scrivere questo, nel quale riparte da dove si era fermata. La famiglia è ancora qui si può leggere benissimo in autonomia, ma lo si gusta senz’altro di più se si legge prima il precedente. La scrittura è scorrevolissima. Ogni capitolo gioca con il cliffhanger (l’espediente narrativo con cui l’autore interrompe la narrazione in modo brusco, in corrispondenza di un colpo di scena o di forte attesa) ed il lettore rimane davvero incollato dalla prima all’ultima pagina. Anzi, anche oltre, perché i colpi di scena non finiscono con lo scioglimento dei vari intrecci. L’autrice spiazza il lettore mettendogli, nell’ultima riga dell’ultima pagina, un nuovo coup de scène che sicuramente le procurerà nuovi incalzi dai lettori per un terzo episodio.

I protagonisti sono quelli che nel primo libro erano bambini, vittime di individui spietati e squilibrati che li avevano segregati in una grande casa a Chelsea. Cresciuti, hanno in parte recuperato una vita normale, ma quel passato grava su di loro con conseguenze imprevedibili: sfiducia, fragilità, incapacità di costruirsi un’identità autonoma, paura, bisogno dell’altro e nello stesso tempo bisogno di staccarsi dall’altro.

Tre sono i fili della trama che cominciano paralleli con continui flashback fra il 2016 e il 2019 con personaggi (primari e secondari) che sembrano distanti e sconosciuti l’uno all’altro ma le cui vicende sono in parte già intrecciate e s’intrecciano ancora di più. E i delitti che si susseguono avranno non una ma almeno due o più chiavi interpretative. In un romanzo psicologico, d’avventura, talora picaresco, altre volte umoristico, è dissimulato un noir raffinato che affronta uno dei temi classici del genere: cosa porta l’uomo a uccidere? Fino a che punta l’omicidio è una colpa? Anzi, più specificamente, fino a che punto un omicidio fotografa un evento congelando sulla linea del tempo colpevole e vittima? È possibile che interventa qualcosa successivamente a far sì che quell’evento possa essere letto in modo diverso?

L’articolo prosegue a p. 2 

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