
Recensione di Raffaella Tamba
“Raccogliere testimonianze, farle proprie, tradurle in una realtà superiore che sia patrimonio dell’Essere”. Questo è stato l’intento dell’autore, Martino Ciano, giornalista, appassionato di letteratura e filosofia, nella scrittura di queste pagine. Certo, con sapida ironia, avverte i lettori: “In bocca al lupo e buona lettura”. Perchè dalla prima riga del secondo capitolo (già l’introduzione è pienamente dentro il romanzo, è già il romanzo), dallo stesso titolo del secondo capitolo si entra in una storia che, si comprende subito, sarà un viaggio. Un viaggio introspettivo senza veli, senza ipocrisie. Un viaggio a fianco di giovani protagonisti, che hanno un buco nero emozionale dentro di sé, in procinto di esplodere. Emma, Alfonso, il Narratore stesso, il padre di Emma, prendono a turno il microfono raccontando non solo la propria storia ma anche quella di uno degli altri personaggi. Una storia come quella di tanti, di cui ciascuno di loro è simbolo. E, dietro la loro, si profila la storia di un ambiente, la Calabria, con le sue contraddizioni di bellezza e infamia che ne fanno una seducente traditrice.
Emma è la prima, meravigliosa, imperscrutabile protagonista, la voce che sentiamo solo quando è già oltrepassata. Da una vita familiare normale, un’adolescenza insostenibile: solitudine, vuoto interiore, disagio esistenziale. Un muro invalicabile. Un muro dietro il quale si accuccia e si nasconde portando avanti gli studi universitari. Per lo più sola, distaccata, unicamente appagata dai libri, che divora, che la divorano. Quando si laurea, davanti ha il vuoto assoluto. Dovrebbe entrare nella società, nella vita reale, ma non riesce: “Diventare adulti vuol dire accettare le regole, non lamentarsi troppo delle ingiustizie, anteporre la ragione e la diplomazia alla rabbia e alla violenza, combattere secondo le norme vigenti. Una follia, insomma”.