Recensione di Patrizia Debicke
Ci sono delitti destinati ad andare oltre i fatti di cronaca; delitti che rispecchiano , per modalità e protagonisti, mentalità e conflitti di un momento storico. E nessun altro crimine descrive l’Italia degli anni Settanta meglio del massacro del Circeo.
Un orribile crimine, reso mostruoso dall’ implacabile crudeltà dei torturatori, insospettabili “ragazzi di buona famiglia” , dei quartieri alti e più in particolare dalle foto di Antonio Monteforte che si trova sul posto e scatta alcune immagini. Una in particolare diventerà una delle immagini più forti e significative dell’Italia degli anni Settanta: la fotografia di Donatella Colasanti, sconvolta, coperta di lividi e di sangue che si affaccia dal baule portabagagli di una 127, di fianco al corpo senza vita di Rosaria Lopez. . Un flash inciso nella memoria di chi ancora ricorda.
Dopo un infernale supplizio di 36 ore infatti, culminato nell’uccisione annegata in una vasca da bagno della diciannovenne Rosaria Lopez, mentre Donatella Colasanti si era salvata fingendosi morta.
Roma e l’Italia intera devono registrare annichilite la notizia di un crimine talmente efferato da essere inconcepibile.
In una villa di San Felice Circeo, sita in un elegante comprensorio verso mare del piccolo comune in provincia di Latina, tre ragazzi dopo aver rapito due ragazze le hanno violentate e ferocemente brutalizzate per un giorno e una notte, uccidendone una e provocando gravissime ferite all’altra, prima che la loro fosse scoperta consentendo alla polizia di identificarli e catturarli.
Sono : Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido, amici e complici tra loro. Figli di benestanti famiglie romane: Andrea Ghira, ventiduenne, secondogenito dell’imprenditore edile e campione olimpico di pallanuoto Aldo Ghira; Angelo Izzo, ventenne e anche lui con padre costruttore , iscritto a medicina; Giovanni Guido, detto “Gianni”, diciannovenne, con suo padre alto funzionario di banca, universitario di architettura…
(l’articolo continua a p. 2)