un ex DIRETTORE MI STRIZZò IL CULO

di Silvia D’Onghia

Una volta, subito dopo aver annunciato le mie dimissioni, un direttore mi portò fuori a cena e mi strizzò il culo, evidentemente pensando di convincermi a restare.

Un’altra volta un redattore capo mi fece notare, davanti a tutti, che ero parecchio ingrassata. In quel periodo io mi mettevo le dita in gola per vomitare e meditavo di farla finita.

Un’altra volta ancora, rientrata da una maternità, scoprii che il mio vecchio capo se n’era andato e che, invece di aspettarmi, l’avevano sostituito con un lontano collaboratore. Ovviamente maschio.

E quell’altra volta poi che, alla richiesta di turni meno massacranti perché incinta, fui spostata in un comparto che si occupava di notiziole dal web…

Faccio la giornalista da 23 anni, ho lavorato in ogni tipo di media: carta stampata, televisione, radio. Oggi ho una carriera abbastanza solida, ma il prezzo che ho pagato è altissimo. Proprio come la maggior parte delle colleghe che lavorano con dignità, professionalità e abnegazione.

Non sono scesa a compromessi, non ho sgomitato, non l’ho “data” in cambio di qualcosa. Sono andata avanti nel mio percorso, sacrificando molto della mia vita privata a questo lavoro che amo. Sto crescendo due figli da sola, ma non ricordo l’ultima volta che mi sono messa in malattia.

Ho faticato, troppo. Ho visto colleghi maschi più giovani (d’età e di carriera) passarmi avanti. Ho ascoltato battutacce da bar. Ho subìto molestie, non solo verbali. Ho provato (e provo) a oppormi a dichiarazioni sessiste, venendo bollata come la femminista rompicoglioni.

Ho litigato con colleghi più alti in grado, che mi trattavano come una segretaria per poi prendersi il merito del mio lavoro.

Ho chiesto aumenti che non sono mai arrivati, quando agli uomini bastava andare a pranzo con le direzioni.

Sono consapevole del fatto che, più di com’è oggi, la mia carriera non potrà spingersi.

Sono una donna, ho pagato e pago questo scotto.

E non venitemi a dire che le redazioni sono piene di donne, perché sì, è vero, ai livelli bassi siamo migliaia e spesso mandiamo avanti le baracche. Ma quante donne direttrici conoscete? Quante a capo di un ufficio centrale (quello, cioè, che d’accordo con la direzione decide cosa va sul giornale)? Quanti volti femminili apicali riempiono i salotti dei talk show?

In Italia le donne rappresentano il 42% del totale dei giornalisti. Secondo il rapporto 2022 dell’agenzia L45, i direttori sono uomini per l’86% nei quotidiani, il 77% nei settimanali, il 63% nei mensili.

Come tutti gli altri, il giornalismo è un mestiere maschile e maschilista. A meno di accettarne le regole subdole: e allora puoi scegliere se diventare un corpo da esposizione o una stronza che comanda. E ce ne sono: tra le poche donne che riescono a scalare il potere, molte assumono gli stessi atteggiamenti degli uomini. Forse perché tormentate dalla sindrome dell’impostora, sentono di dover giustificare in ogni momento la loro presenza lì, di dover dimostrare ogni giorno di essere all’altezza. Solo che, piuttosto che competere con i maschi, si sentono minacciate dalle femmine. E addio principio di sorellanza.

Da qualche anno, con l’entrata in vigore della formazione continua, l’Ordine dei giornalisti promuove corsi sulla parità di genere e sulla prevenzione della violenza. Ma l’impressione è che a frequentarli siamo sempre le stesse (così come le relatrici non cambiano mai). Non ci meravigliamo, dunque, dei titoli di cronaca sui “delitti passionali” o sui “raptus di gelosia”, che pure dovrebbero essere banditi dal Manifesto di Venezia del 2017.

La soluzione a tutto questo, ovviamente, non è semplice né immediata. Serviranno anni per cambiare le cose. Ma tra le proposte concrete che mi sento di avanzare c’è quella dell’individuazione (per legge) in ogni azienda editoriale di una figura adibita a far rispettare la parità di genere – sotto l’aspetto professionale ed economico – e l’adozione di un linguaggio non discriminante. Un obiettivo vicino quanto la conquista di Marte.

#mecult

Questa voce è stata pubblicata in #mecult, chi dice donne dice danno. Contrassegna il permalink.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...