Recensione di Patrizia Debicke
Ode alla resilienza femminile, Notte di battaglia, tradotto da Maurizia Balmelli, affigge una trama scarna, dolorosa, annegata nella stravagante quotidianità di una piccola e scombinata famiglia canadese, nonna, madre e figlia, che vivono tutte assieme in un minuscolo appartamento di Toronto.
Una trama che si concentra soprattutto sui rapporti tra tre generazioni, ma più in particolare sul fortissimo legame venutosi a creare tra la narratrice, Swiv, e sua nonna materna , Elvira. Elvira, una vecchia signora cardiopatica, arrivata tanti anni prima dall’Europa orientale con alle spalle una vita lunga e dolorosa, sicura che le restino “solo cinque minuti da vivere non vuole sprecarli in piccolezze”.
Non ci sono uomini in famiglia. Il romanzo tuttavia è una lunghissima lettera piena di fatti e fatterelli, tutto quello che capita, scritta da Swiv e indirizzata a un padre senza nome, che beveva troppo e se n’è andato da poco, ma non si fa vivo e sembra non abbia alcuna intenzione di tornare.
Swiv , nove anni circa, ma lo si appurerà solo a due terzi del romanzo quando confiderà a uno sconosciuto di avere cento mesi, è stata espulsa dalla scuola per rissa. La notizia sarà la prima che confiderà per scritto al padre, spiegandogli che non era la prima volta. C’erano state altre volte, troppe, ragion per cui la preside ha stabilito di lasciarla a casa a tempo indefinito. E ora Swiv ha deciso di non tornare mai più tra i banchi. E la nonna e la mamma dovranno accettare la sua decisione.
Mentre Mooshie, madre di Swiv attrice teatrale di mestiere , lunatica e incinta ormai con il pancione, perennemente assente, passa tutto il giorno a teatro a provare, a discutere con la regista e a inveire contro lo stato , la nonna Elvira incontenibile e irriverente è sempre con lei e intende rimediare alla mancata educazione della ragazzina trasmettendole le sue eclettiche lezioni di vita in mattutine “riunioni di redazione”.
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