E gli si svela una Roma doubleface: da una parte le famiglie benestanti; dall’altra gli umili, quelli che non hanno riserve, che dipendono da un lavoro quotidiano per racimolare solo il quotidiano e per i quali un evento come quello capitato, rappresenta un meteorite che spezza il loro fragile equilibrio. Ed un piemontese, praticamente straniero, deve capire come muoversi in quei due mondi perchè l’indagine lo porta nelle estremità più bieche di entrambi. L’inattesa visita della proprietaria di un noto bordello romano lo introduce in un ambiente dove non ci sono scrupoli, affetti, onorabilità; ma che, nell’ombra, è frequentato anche da chi, alla luce del sole, appartiene allo strato sociale opposto, quello delle banche, del governo, delle sette segrete che tendono fila sottili e robustissime.
L’autrice ha fatto una scelta stilistico-lessicale encomiabile: l’uso del dialetto romano per la gente più umile e l’uso dell’italiano per la classe più elevata; mentre Ferrero, piemontese, ne rappresenta lo strumento interpretativo e conciliativo. Accenti, modi di dire, lemmi, sono la colonna sonora di questo bel poliesco che dimostra come il giallo classico abbia davvero ancora tante possibilità di esprimersi nelle proprie caratteristiche. Un poliziesco frizzante che ricorda i film dell’Italia degli anni ’50: il bianco e nero di una società agricolo-manifatturiero, il vintage di un ceto più elevato che può permettersi di farsi confezionare su misura un paletot di panno con pellegrina a tre balze e pelliccia e magari, sotto, un vestito con inserti di velluto o che, a salvaguardia dell’aroma, conserva i sigari un pregiato portasigari a smalto con le proprie iniziali. A.V. Anacleto Varesi?