“La vendetta del Fiume Sacro”. Due ballate di Aino Kallas, Vocifuoriscena

Il giovane Imant, settimo figlio della vedova Mare e allevato dalla madre agli ideali dell’audacia e della fedeltà al proprio popolo, intende sorprendere il nemico, sottometterlo e si offre di entrare nel primo sacco, partecipando in prima linea a questa battaglia eroica e irredentista. La madre Mare, donna audace, indomita e sprezzante del pericolo, legata alla cultura superstiziosa, pagana e stregonesca degli antenati e che ha già visto morire, prima di lui, cinque figli e che ha perso anche il primogenito Atso, costretto dai fratelli di spada al sacerdozio e votato alla Chiesa, tenta invano di dissuadere Imant, l’ultimo figlio rimastole. Resasi però conto dell’inutilità dei suoi sforzi, Mare decide di presentarsi al castello di Viljandi e rivela al commendatore il piano ribelle, chiedendo come ricompensa la salvezza del figlio Imant e rinnegando così il suo popolo. La decisione della donna avrà conseguenze tragiche perché Imant non sopporterà l’onta del tradimento e anche la madre si pentirà del suo folle gesto, confessando le sue colpe.

Questa ballata in un primo momento non aveva raccolto attenzioni, ma, quando venne trasformata in dramma negli anni 1934 e 1935, la storia della madre che tradisce il proprio popolo per non sacrificare il figlio, condannando così un’intera generazione di giovani alla distruzione, suscitò l’entusiasmo del pubblico e creò molto scandalo e scompiglio perché andava contro i principi del patriottismo allora in vigore in Estonia, un paese stretto nella morsa degli stati confinanti e che nel campanilismo forse trovava una sua ragione di vita. La ballata e il dramma tradotto in estone, tra l’altro, presentavano in maniera audace e quasi dissacrante una figura di mater dolorosa che era rimasta miracolosamente incinta per la settima volta, diciassette anni dopo il sesto parto, in seguito all’apparizione di una stella cometa, ma che, contrariamente alla vergine Maria a cui pure si ispira il personaggio, sceglie di non sacrificare il proprio figlio per poi perderlo irreparabilmente.

Nella seconda novella, intitolata in italiano La vendetta del fiume sacro e ambientata nel XVII secolo, precisamente negli anni Quaranta del Seicento e scritta sempre in finnico, si racconta come Hans Ohm, signore del maniero di Sõmerpalu, abbia convocato il capomastro tedesco Adam Dörffer della città tedesca di Arnstadt per costruire un mulino ad acqua lungo il corso del Võhandu, fiume che fin dai tempi pagani gli estoni consideravano prorompente, taumaturgico, sacro, inviolabile e riguardoso della propria purezza come una vergine che ha cara la propria integrità.

All’inizio il costruttore, nonostante tutti gli avvertimenti, le ammonizioni e i presagi, sembra non trovare ostacoli. Il fiume appare calmo e tranquillo e Adam riuscirà a costruire il suo mulino per macinare il grano e per segare il legname che le navi di Herr Hans Ohm portavano da Tallin a Lubecca fino a Brema. Ma nei mesi immediatamente successivi alla costruzione del mulino una tremenda carestia invade il paese e dalla gente comune, incline durante le disgrazie al paganesimo atavico, la causa di questa piaga viene ravvisata proprio nell’ira del fiume. Agli occhi dei contadini solo il sacrificio di sangue di quest’uomo e la distruzione del mulino potranno placare la rabbia del corso d’acqua. Il protagonista, nel frattempo, è continuamente preda di visioni, di allucinazioni femminili, di profezie infauste e di antiche superstizioni. Adam Dörffer dovrà infine ammettere che il fiume è dotato di spirito vitale e, trascinato quasi in un rapporto di odio-amore, il costruttore deciderà di sfidare l’impeto e la venerata inviolabilità del corso d’acqua: l’uomo e il fiume, avvinti in un abbraccio mortale, “uno di fronte all’altro, faccia a faccia, due cuori pulsanti all’unisono” (pagina 80).

In queste due ballate in prosa la scrittrice dà voce alle antiche superstizioni pagane, ma nello stesso tempo genuine del popolo estone, credenze che sembrano avere un fondamento di verità in quanto né la scienza, né la fede cristiana né la logica del denaro e del potere sono in grado di comprendere e domare le realtà e i fenomeni a cui questi pregiudizi fanno riferimento.

In queste due novelle emerge la forza prorompente della natura che si ribella al tentativo dedalico e tracotante di dominio dell’uomo, viene esaltato e in parte esecrato l’amore materno, viene ricordata con nostalgia la purezza del popolo e dell’antica tradizione estone: “la sapienza di questo popolo sgorga da più segrete fonti, sconosciute al sapere stampato. Molti tra loro hanno la facoltà di comprendere la lingua degli uccelli e la favella degli alberi: perché mai non dovrebbero capire anche quella di un fiume?” (pagina 73).

In queste due ballate in prosa, come sempre accade nei romanzi di Aino Kallas, aleggiano sì il fascino, il mistero, le tonalità drammatiche e vibranti di realtà ancestrali, primordiali che la Kallas sicuramente ben conosceva e ben ha rappresentato durante la sua vita, ma queste realtà non vengono mai disprezzate dall’alto. Anche se manca una condanna netta di questi mondi descritti, si percepisce da queste pagine come la prospettiva dell’autrice non sia mai paternalistica o censurante, ma nello stesso tempo è superiore: Aino non si sentiva più semplicemente cittadina estone o finlandese o solo europea. Il suo orizzonte era cosmopolita: come aveva scritto sulle pagine del suo diario il 14 giugno del 1929 Aino apparteneva al mondo (minä kuulun maailmalle: “io appartengo al mondo”).

Anche questo dittico appartiene sicuramente alla Weltliteratur e ci travolge per la sapiente ambientazione storica, per i continui riferimenti biblici, per l’afflato spirituale narrativo e per la modernità nella raffigurazione della natura che si oppone all’hybris tecnologico, prometeico, culturale e religioso degli uomini.

E non è finita qui!!!

Avete problemi dermatologici? Ebbene, il libro di Aino Kallas e il commentatore Marcello Ganassini danno la loro risposta anche su questo problema. Alle pagine 12 e 13 la nota 5 del volume ci propone una soluzione molto originale ed interessante. Si parla infatti del “mal di suolo”, “in estone Maahisen tauti o morbo di Maahinen. Secondo le credenze popolari finlandesi ed estoni alcune malattie, in particolare le dermatiti, erano causate dalla presenza di elfi tellurici, maahiset, in estone maa-alused, considerati sovente spiriti di anime defunte. Il contagio avveniva anche attraverso il contatto con la terra popolata da tali spiriti”.

Quindi, anche se abbiamo i brufoli, restiamo sempre persone speciali!

Eleonora Papp

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