“Caccia al ladro” di David Dodge (Time Crime)


I libro appena pubblicato,  infatti,  affascinò subito l’America e gli americani, poi tutti gli altri…
Erano gli anni ’50, i gialli e i noir andavano alla grande, tutti amavano leggerli e sopratutto amavano poi rivederli al cinema. Così, a distanza di poco tempo dalla pubblicazione, nel 1955,  Caccia al ladro diviene il grande film firmato Paramount diretto da Alfred Hitchcock. Insomma un felice connubio  di fortunati eventi legati a una storia che meritava appieno il successo che si è guadagnata.
Ma ora torniamo a Caccia al ladro e alla sua trama che come  bandiera portante può esibire fin dall’inizio delle ambientazioni da favola. Sissignori non noccioline ma il meglio del meglio di quanto la Costa Azzurra possa offrire sia come residenze di charme che alberghi di gran lusso.
Il protagonista è John Robie,  americano, un ex bravo acrobata di circo ed ex ladro di gioielli. Da  giovane, arrivato in Europa per un ingaggio che si era dimostrato un flop, dopo aver cercato invano un lavoro decoroso  aveva cominciato a depredare le camere di albergo della Costa  occupate  da ricchi nobili, milionari americani e stelle del cinema. Le sue imprese gli avevano fatto guadagnare le prime pagine dei quotidiani e l’avevano fatto soprannominare il Gatto perchè riusciva  sia ad arrampicarsi sui muri  con l’agilità di un gatto, sia per  entrare che per uscire non visto dappertutto. Il suo gioco era andato avanti per tre anni, ogni volta senza mai lasciare un indizio che potesse farlo scoprire fino al giorno in cui un ricettatore di Parigi l’aveva venduto alla polizia. Di là il processo a Nizza  in cui l’avevano condannato a vent’ anni di prigione. Ma con l’addensarsi delle nuvole della Seconda Guerra Mondiale poco più di un anno dopo. l’occupazione nazista  in Francia gli aveva offerto l’occasione di riacquistare la libertà. I tedeschi infatti, convinti di offrire ampio materiale di disturbo a quanto restava della vilipesa Terza Repubblica,  una notte  aveva caricato su dei camion tutti i detenuti della prigione vicino a Saumur, compreso il Gatto, liberandoli oltre la zona occupata.
Fu allora che John Robie  e i suoi compagni di prigione decisero di unirsi alla resistenza francese, come combattenti partigiani. Uccisero e furono uccisi. Molti tra loro morirono ma alla  fine della guerra un “tacito armistizio” concesse agli evasi sopravvissuti la libertà, condizionata alla buona condotta. Robie era riuscito a lasciare la Francia per gli Stati Uniti, aveva riottenuto un passaporto vergine, poi aveva deciso di tornare in Francia. Il franco si era svalutato e continuava a scendere vertiginosamente, il suo patrimonio frutto di furti  che era diminuito molto di valore era bloccato, ma se decideva di restare in Francia avrebbe  potuto farlo vivendo dignitosamente di rendita. E così era stato, ragion per cui, l’ex Gatto, usando tranquillamente il suo vero nome, certo di godere dell’amnistia dovuta al suo eroismo in guerra, si era comprato una villa in campagna sopra Vence, si era registrato ala prefettura di Nizza e aveva ottenuto un regolare permesso di soggiorno. E là campava bene, si era fatto dei conoscenti e alcuni buoni amici, lontano della malavita e dal suo passato.
Ma  da un giorno all’altro la sua vita viene  sconvolta da una azzardata  serie di furti di gioielli compiuti in varie località della Costa Azzurra, con le stesse modalità da lui utilizzate in passato. Ragion per cui  la polizia dopo essersi guardata attorno  fa due più due e comincia a sostenere che il Gatto dopo essere tornato in circolazione, ha ricominciato a colpire.
John Robie è nei guai, addirittura costretto a fuggire abbandonando la sua villa proprio nel momento in cui  gli agenti sono venuti a bussare alla sua porta per arrestarlo e a rifugiarsi a Cannes dall’amico Bellini, influente esponente della malavita locale, con ancora le mani pasta in tanti affari, e  che durante la guerra era stato suo socio  nella Resistenza francese. E  dietro consiglio di Bellini chiederà  e  otterrà l’immediato appoggio degli ex  galeotti e compagni del Maquis. Con il loro aiuto, sia per la propria sicurezza che per orgoglio, John Robie deve trovare il modo di smascherare e fermare  il ladro che sta emulando le sue imprese.  
Con pochi precisi tocchi indispensabili  a modificare il suo aspetto e fargli vestire gli innocui  panni di Jack Burns, abbiente assicuratore  quarantacinquenne di New York in vacanza, (e qui nessuno mi leva dalla testa che nel descriverlo l’autore stesse pensando a se stesso)  John Robie  inizia, sotto mentite spoglie, a dare la caccia al ladro. A Cannes il falso Burns, alloggiato in un grande hotel internazionale, entrerà in contatto con due ricchissime americane, la cui fortuna è legata al fastoso reddito di numerosi pozzi di petrolio:  Maude Stevens, la madre, che adora i gioielli e la figlia Francie, che invece non li porta mai… Comincia la caccia, l’avventura e stop allo spoiler anche se temo che ormai con il passare degli anni  la celebre storia sia ormai universalmente nota e apprezzata.
John Robie è un personaggio carismatico dotato di gran savoir faire,  la giovane milionaria che ben presto  annuserà  l’aria e sospetterà  qualcosa,  è incantevole. Sicuramente, David Dodge ha vinto la scommessa con la moglie, scrivendo un grandissimo  giallo. Un giallo in cui dominano, pagina dopo pagina, suspense e ambientazione. La prima, indiscussa,  fa sì che  ogni scena sia gestita in modo da lasciare il lettore resti sempre col fiato sospeso. Anche se ogni piccolo indizio disseminato nella trama  lo accompagna verso la soluzione del caso. L’azione non manca, John e Frances – la giovane americana – vivono eccezionali vicende in favolosi scenari. Logicamente, per  me che ho visto e rivisto il film tratto dalla storia, non riesco a regalare ai protagonisti un volto diverso da quello scelto dal regista per il cast dei suoi attori. E dunque un’accoppiata d’oro che vide sia un libro che  un film  indimenticabili, ma soprattutto un giallo  che non perde e non perderà mai smalto neppure con il passare degli anni.  Anzi le sue ambientazioni semiteatrali  che rammentano certi film americani di quel periodo, così come i discorsi e le  varie descrizioni  gli garantiscono  una raffinata cornice  un tantino vintage.  Cornice che lo rende alla stesso tempo  intrigante e saporoso ma e soprattutto indimenticabile.

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