“NESTOR BURMA E LA BAMBOLA” di LEO MALET (FAZI)

Recensione di Marcello Casalino

Un nuovo Léo Malet? Diciamo, piuttosto, la gradita riproposta di uno dei re del romanzo hard-boiled. La casa editrice Fazi, infatti, immette quest’anno sul mercato “Nestor Burma e la bambola” (titolo originale “Nestor Burma court la poupée”), finora inedito in Italia.

Léo Malet, nato nel 1909 a Montpellier ma presto trasferitosi a Parigi, è conosciuto soprattutto come il creatore dell’investigatore Nestor Burma, sorta di Philip Marlowe alla francese. In gioventù, tra le sue frequentazioni, ci sono anche i surrealisti del “papa” André Breton, dai quali viene espulso perché, a detta di questi, “seguace di una pedagogia poliziesca”. Dopo un periodo da internato in un campo di concentramento nazista, inizia a scrivere romanzi polizieschi sotto vari pseudonimi. Dal 1943 dà vita alla serie avente come protagonista Nestor Burma, attraverso la quale si fa conoscere ed apprezzare.

In questa fresca uscita seguiamo l’investigatore alle prese con un caso decisamente bizzarro: Nestor Burma viene incaricato infatti da una coppia di anziani di investigare su Mauffat, un medico ambiguo, reo, a loro dire, di aver provocato la morte della giovane nipote Yolande. L’unico problema è che lo stesso medico viene ucciso a bruciapelo sotto gli occhi dello scaltro investigatore da qualcuno assai abile a non farsi riconoscere e a far perdere completamente le proprie tracce. Da qui una pletora di personaggi, descritti nei modi più bizzarri, affolla le pagine del libro.

Quali sono le peculiarità della scrittura di Malet? Decisamente un uso reiterato dell’ironia: sembra di leggere John Fante alle prese con il poliziesco (“la sua minigonna alzata fin quasi alle ascelle esibiva la più considerevole porzione di gambe che un occhio umano di medie capacità potesse guardare in una sola volta”). E’ questo che permette al lettore di restare incollato alla storia, al di là della (im)probabilità del plot. Lo stile è ovviamente quello asciutto della letteratura di genere, il ritmo è incalzante ed i dialoghi concisi. L’intervento diretto del protagonista, a commento e illustrazione dei fatti, conferisce al romanzo una profondità che nessun distacco, freddo o ironico per affettazione, può mai conseguire.

L’investigatore Nestor Burma, con il suo modo tutto particolare di parlare e di interloquire con i vari cattivi di turno, risulta immediatamente confidenziale e amichevole agli amanti del noir. Sensibile al fascino femminile, Burma, titolare dell’agenzia Fiat Lux, è spesso “in coma finanziario”. E’ un duro solitario, legato da un’amicizia particolarmente confidenziale con la sua segretaria Hélène, ed il suo rapporto con gli sbirri è spesso controverso.

Lo scenario è quello di una pellicola anni ’30 (“scesi dall’auto e tornai a piedi sui miei passi, con il bavero del trench sollevato, le mani affondate nelle tasche e il cappello ben calcato in testa”). Dai romanzi di Malet è stata tratta anche una serie televisiva nel 1991 di 85 episodi, con protagonista l’attore Guy Marchand, e una serie di graphic novels realizzate da Jacques Tardi, pubblicata con grande successo di critica.

La Parigi descritta da Malet avvolge tutto e tutti con un manto di pece e catrame. Con i suoi vicoli fetidi e liquamosi, i locali notturni da quattro soldi, il marcio che esce dai tombini, le insegne al neon e le sirene impazzite delle auto della polizia, la città fa da degno corollario alle scorribande di malviventi senza scrupoli, personaggi equivoci che solcano il lato sbagliato della strada, quello per cui i sogni non permettono il ritorno a casa. In questo panorama di devastazione Nestor Burma gioca la sua parte di raddrizzatore di torti, con metodi ai limiti della legalità ma sempre con compiaciuta nonchalance. Léo Malet, in fondo, è della stessa scuola di Dashiell Hammett, Raymond Chandler, Jim Thompson e Charles Williams. Il finale del libro, un po’ a sorpresa, ci mostra il volto oscuro delle cose ed il male inteso come tumore osceno e castigo divino.

 

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