Recensione di Patrizia Debicke
La storia di una breve amicizia tra due ragazzine, Agata Amodio e Virginia Levi, che si conoscono in un collegio gestito da suore sotto il regime fascista. Nel 1927 una neonata di quattro mesi viene abbandonata dentro una cesta davanti all’orfanotrofio, un istituto gestito dalle suore del Convento di Polverara. Un fagottino che verrà ritrovato da una delle suore. Nella cesta una lettera straziante scritta da una madre disperata, costretta ad abbandonare la sua bambina perché frutto della colpa. Le suore la faranno battezzare con il nome di Agata Amodio. Una bambina infagottata in una coperta nera che da quel momento diventerà quasi la sua bandiera. Da insostituibile coperta, si trasformerà in grembiule, poi sarà rivista in una divisa da giovane italiana quando in Italia il nero diventerà il colore dominante, il colore del fascismo, il colore del diavolo. Una cornice a tratti quasi tragicomica per un continuo oscillante gioco di contrasti quasi a voler rappresentare l’imponderabile scambio di amore/odio, bianco/nero, Dio/diavolo che Giacomo Cacciatore ci fa scoprire fra le righe di Piccola italiana.
La piccola Agata è cresciuto a Polverara, nell’orfanotrofio che l’ha raccolta in fasce dimostrandosi presto “diversa”: bizzarra, riottosa e autonoma in un contesto che aborre l’iniziativa e l’autonomia. Fin da piccolissima, Agata si distingue dagli altri bambini per la sua prepotenza, il cattivo carattere, le continue disubbidienze che la costringono a lunghe ore in punizione ma anche la prontezza e l’intelligenza quasi diabolica. Agata non teme nessuno, non si lascia intimorire da nessuno ma anzi, in qualche modo, con la sfrontatezza del suo atteggiamento, riesce a mettere sotto scacco gli adulti che la circondano. Per la sua straordinaria personalità, Agata diventerà un “caso” da sottoporre all’inquietante teutonico luminare di psichiatria, il dottor Marcus e alla sorveglianza della maestra/vigilatrice Itala Calcaterra, da sempre invaghita di Mussolini e persa in fantasticherie su una possibile storia d’amore con lui. Le tragicomiche vicende che vedono implicata anche la temuta suora Burgio, cerbero delegato al castigo degli alunni, diventano gli esempi più lampanti di come Agata riesca a cavarsela con il sistema, disinnescando ogni tentativo di farsi ridurre all’obbedienza e alle regole.
Neppure i suoi rapporti con le compagne di scuola saranno facili. Insensibile a ogni sentimento, la bambina si legherà soltanto a Virginia Levi, una riservata coetanea ebrea, che diventerà sua compagna di avventure. Sempre più isolate in un contesto sociale dominato da una dilagante propaganda di regime che avvelena ogni rapporto umano, la loro diventerà una relazione particolare, fatta di lati oscuri, ma anche tenace e inviolabile, come i punti del patto di amicizia che decidono di sottoscrivere e firmare. Un patto a conti fatti simile al patto di alleanza sigillato fra l’Italia fascista e la Germania nazista. E mentre Giacomo Cacciatore incuriosisce il lettore con i continui parallelismi fra le vicende delle due amiche e la Storia del nostro Paese, Agata Amodio comincia a elaborare un preciso progetto, un progetto segreto e visionario che sbalordirà Virginia. E forse il mondo intero. Un progetto che segnerà indelebilmente il futuro perché le vite delle due ragazzine dovranno imboccare due binari separati che le porteranno su strade diverse… macchiando indelebilmente la loro relazione con il sospetto del tradimento. Ma Agata Amodio per sopravvivere ha dovuto fare la sua terribile scelta quasi fosse stata una vittima sacrificale, destinata alla dannazione per colpa di quell’originario torto che la riguarda, da quel lontano abbandono. I punti salienti e più drammatici di tutta la storia sono ambientati nei peggiori anni del fascismo italiano, che poi furono quelli della promulgazione delle leggi razziali che precedettero la firma del patto con Hitler. Con Piccola italiana Giacomo Cacciatore ci ricorda l’importanza di riuscire a sottrarsi alle norme, presentandoci la storia di un’amicizia dal carattere spiccatamente inusuale attraverso espedienti che vanno dal tragico al parodistico. Ciò nondimeno uno dei principali messaggi che l’autore intende far passare è saper richiamare alla memoria quel passato denso di paure e prevaricazioni legate al fascismo, che non va mai dimenticato, e fare ogni possibile sforzo per reprimerne ogni terribile richiamo. Un drammatico passato la cui eco risuona sinistramente oggi, ma che deve trasformarsi in un severo monito contro ogni e qualunque tipo di discriminazione: di ieri, di oggi e di domani.
Giacomo Cacciatore (nella foto, sopra) è nato in Calabria nel 1967, ma vive da sempre a Palermo. Ha collaborato per una decina d’anni come narratore e corsivista con “la Repubblica” edizione di Palermo. Ha pubblicato sei romanzi: L’uomo di spalle (Dario Flaccovio, 2005), uscito anche in Francia (Payot et Rivages); Figlio di Vetro (Einaudi, 2007), tradotto in Germania (Rowholt), Francia (Liana Levi) e Spagna (451 Editores), dal quale è stato liberamente tratto il film Il bambino di vetro (2016) diretto da Federico Cruciani; Salina, la sabbia che resta (Dario Flaccovio, 2010), scritto con due coautori; La differenza (Meridiano Zero, 2014), dal quale Cacciatore ha tratto un’omonima pièce teatrale andata in scena al Teatro Biondo Stabile di Palermo e della quale ha firmato la regia; Se tornasse Natale (Baldini&Castoldi, 2015) e Uno sbirro non lo salva nessuno, il suo primo “true crime” (Dario Flaccovio, 2017). Tutti i suoi romanzi sono stati recensiti con favore dai più importanti quotidiani nazionali. Con il saggio Il terrorista dei generi – Tutto il cinema di Lucio Fulci, scritto con Paolo Albiero, ha vinto il Premio Efebo d’Oro speciale 2005 per il miglior libro di cinema (pubblicato da Un mondo a parte nel 2005 e riedito nel 2015 dalla Leima in versione ampliata). Cacciatore è citato nell’enciclopedia Treccani come inventore del termine “camillerismo”, da lui coniato in un’intervista su “la Repubblica” al traduttore francese di Andrea Camilleri.