Eleonora Calesini e Debora Grossi: “Il movimento dei sogni” (Fandango)

Recensione di Marco A. Piva

Ieri sera ero stanco. Mi sono disteso presto, ma prima di chiudere gli occhi ho deciso di cominciare questo libro, lungo un paio di centinaia di pagine. Mi aspettavo di leggerne una ventina di pagine prima di addormentarmi. Qualche ora dopo, l’avevo finito. Penso che questo potrebbe già essere sufficiente per suggerire quale sia stata la mia impressione riguardo a “Il movimento dei sogni”, ma parliamone ancora un po’.

Si tratta di una storia autobiografica: Eleonora Calesini (con l’aiuto per la stesura del testo della bravissima Debora Grossi, che ci dice che questo è anche per lei il primo libro, ma che scrive con la sicurezza e la fluidità di una scrittrice esperta) ci racconta di quando, finita la scuola superiore, ha deciso di studiare alla celebre Accademia dell’Immagine, una tra le scuole di cinema più prestigiose in Italia. Condivide l’appartamento con tre ragazze, tre persone normalissime, che presto diventano la sua famiglia.

L’anno accademico è il 2008/09. Dove si trova l’Accademia dell’Immagine? A L’Aquila. La città viene nominata, però, soltanto dopo oltre 60 pagine. Sì, lo sappiamo, ricordiamo tutti. E viene menzionato in quarta di copertina. Eleonora (Elly) Calesini, allora ventunenne, è stata estratta dalle macerie del terremoto del 6 aprile 2009 dopo 42 ore dal crollo della casa in cui viveva, crollo che si è portato via la sua compagna d’appartamento e cara amica Enza.

Ma le autrici di questo libro nominano L’Aquila solo dopo oltre 60 pagine. Perché? Perché “Il movimento dei sogni” non è la storia di una tragedia: è la storia di una vita, di un anno di vita di una ragazza che finalmente aveva trovato il modo per muovere le prime pedine per realizzare i propri sogni, che li ha visti infranti, che ha quasi sentito la vita sfuggirle… e che ha saputo, che ha voluto ricominciare.

Nata non udente, Eleonora ha ricevuto uno tra i primi impianti cocleari in Italia. E ci racconta del fatto che, inizialmente, un po’ si vergognava di questo, voleva tenere nascosta questa piccola cosa che la faceva, ai suoi occhi di ragazza giovane, un po’ diversa dagli altri. Una bella famiglia in un piccolo paese in Romagna, la passione per il cinema (in particolare per “Star Wars”), la decisione di andare a studiare all’Accademia con la speranza, un giorno, di lavorare nel campo degli effetti speciali. Mesi di vita da studentessa, con le amiche e gli amici, tra turni per pulire la casa e disavventure ai fornelli.

E poi, il 6 aprile. Eleonora era a L’Aquila perché quella mattina avrebbe dovuto dare un esame.

Ci racconta poco di quello che ha pensato, di quello che ha sentito sotto le macerie. Ci porta invece a vedere la scena, i soccorsi, la paura, la disperazione e finalmente la salvezza dal punto di vista del padre e dello zio, che erano accorsi sul luogo, impotenti a fare qualcosa ma comunque presenti, e dei soccorritori, che non si sono dati per vinti. Mai.

E poi ci spiega cosa ha fatto dopo, come ha recuperato, come è riuscita a entrare, a piccoli passi, nel mondo della cinematografia, ci parla di chi ha perso e di chi c’è ancora, di chi è arrivato dopo e non immagina nemmeno.

Un libro che, fino al momento del terremoto, scorre leggero, allegro, interessante, per nulla triste o pesante. E che poi colpisce allo stomaco a pugno chiuso. E lo stesso riesce a evitare di rallentare, di diventare difficile da digerire: questo è un pregio del modo in cui questo libro è stato scritto. E probabilmente dice molto anche sull’atteggiamento di Eleonora Calesini, che è viva e che vive.

Scrivo queste parole il 5 aprile 2019. Questa sera saranno 10 anni da quando Eleonora è andata a dormire, preoccupata per le scosse di terremoto ma soprattutto per l’esame della mattina dopo.

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