Premi letterari polizieschi: maschile plurale (parte 2)

legatadi Marilù Oliva

In questi giorni sono scoppiate diverse polemiche in merito agli esiti della finale del Premio Scerbanenco e molti lettori si sono indignati del fatto che io, essendo stata la più votata su internet con un numero di partecipanti anche interessante, non sia entrata in finale. Sugarpulp (nella persona di Giacomo Brunoro) e altre testate hanno dedicato un articolo alla questione, scrittori ed editori hanno espresso la loro solidarietà per quella che, di primo acchito, può sembrare un’ingiustizia. Ma non credo che lo sia e ora vi dirò perché, fermo restando che, come molti di voi sanno, sono disincantata rispetto ai premi letterari (polizieschi e non) nostrani, come ho già ampiamente dimostrato qui quattro anni fa: premi che tendono, a mio avviso, ad allinearsi al sistema italiano, quello che procede per clientelismi, favoritismi e pregiudizi verso l’altra metà del cielo. E fermo restando che per me la vittoria è aver ricevuto un numero così alto di consenso dai lettori, i giudici più preziosi. (immagine sopra: foto da scultura “Legata” di Alessandro Milioni )

Ma stavolta devo spezzare una lancia in favore dello Scerbanenco e vi spiego i motivi.

La direzione del Premio mi ha contattata il giorno stesso in cui sono usciti i risultati, chiarendomi perché non ho avuto accesso alla finale e, al di là delle  preferenze metodologiche, devo ammettere che, se il regolamento prevede una norma precisa, io – nel momento in cui partecipo – posso non essere d’accordo col succo di quella norma, ma mi impegno ad osservarla. Ora, la norma è esplicitata al punto 7 del bando, dove si afferma che “la somma ponderata dei voti della Giuria e di quelli dei lettori votanti darà luogo alla cinquina dei finalisti”. E’ giusto? Non è giusto? Non è questo il punto. E’ lecito che il Premio la stabilisca e la rispetti, del resto tanti altri riconoscimenti non contemplano nemmeno in minima parte il parere popolare.

Ecco come funziona il conteggio: per “somma ponderata” si intende che i voti dei lettori devono avere lo stesso peso di quelli della giuria. Vale a dire che 932 votanti online hanno lo stesso peso di 7 giurati, ragion per cui, per ottenere il quoziente che ci dà, in rapporto, il peso di un giurato, dobbiamo procedere con la seguente divisione: 932 votanti on line : 7 giurati. Divisione che dà il risultato di 133. In sostanza: 133 persone che si registrano e votano su internet hanno il peso equivalente di 1 giurato. Questo spiega perché ogni partecipante trovi scritto, sotto il suo nome a destra, come “voti della giuria” i seguenti numeri: 133 se, come nel mio caso, ha ricevuto solo 1 voto da un giurato, 266 se ne ha ricevuti 2, 399 se ne ha ricevuti 3 e cosi via. Il rapporto ha una proporzione spaventosa, è vero: però questo prevede il regolamento e non so quanto senso abbia sindacare dopo che si è deciso di partecipare, ovvero dopo aver letto (e quindi implicitamente accettato) il bando.

Il voto popolare, qui chiaramente in disaccordo col voto dei giurati, mi sarà comunque riconosciuto a Milano con il Premio dei lettori Noir in Festival: non credo si tratti di un contentino, bensì di un “attestato” per aver conseguito un apprezzamento differente.

noirsito2016Piuttosto il problema di questa edizione dello Scerbanenco e dei premi letterari polizieschi italiani è un altro e io lo sollevai anni fa, in un articolo che è stato spesso ripreso: se in Italia le donne faticano ad affermarsi in ogni settore, a trovare lavoro e ad affrancarsi da quella misoginia che le colpisce anche in maniera subdola, bisogna ammettere che quelle che si occupano di genere noir/poliziesco sono ancora più penalizzate. L’ha inquadrato con precisione Grazia Verasani in un post dalla sua bacheca facebook:

…se la Vargas, in Francia, adottò un nome d’arte maschile c’era una ragione ben precisa. Il genere noir non era femmina. In Italia, dove i preconcetti sono ben più estesi, la credibilità delle autrici noir non viene a tutt’oggi ricompensata dalle vendite né sostenuta dalla critica

Io non riesco a credere che, su 24 semifinalisti (18 maschi e 6 femmine) che hanno portato a una cinquina tutta maschile, non potesse emergere un libro di valore di una donna (e non parlo del mio, ma delle altre 5 colleghe). Non ci credo. Sia perché ho letto buona parte dei libri, sia perché sono convinta che il problema non sia il maschilismo sbandierato, piuttosto la svalutazione sotterranea che noi donne subiamo. I giurati li conosco in parte e so che sono persone serie. Ciò non toglie che temo che una parte di loro (una parte, lo sottolineo: perché so per certo che c’è, tra loro, chi porta avanti da anni battaglie per la parità di genere, come ad esempio Loredana Lipperini che le donne le legge e le sostiene da sempre) sia colpita da quello che Grazia Verasani approfondisce con la sua implacabile precisione, con un discorso più esteso e non solo limitato al contesto-premi:

Urge una riflessione sul perchè i lettori e le lettrici non si affidino granchè alle donne che scrivono narrativa di genere. Le cause sono molteplici, non solo la credenza che sia un genere “cazzuto”, o che le gialliste siano troppo sentimentali e quindi inabili alla costruzione di plot avvincenti (grandissima cazzata), non solo la perenne deriva misogina che, in larga parte, discrimina senza avere letto, ma, temo, l’assoluta indifferenza della stampa (e di altri media) rispetto alle autrici di genere in Italia.

Nei premi ci rannicchiamo sempre come esigua minoranza. E’ vero che noi donne siamo meno rispetto ai colleghi maschi, ma non tanto quanto risulterebbe dagli esiti finali delle gare. Se ogni 10 giallisti/noiristi/thrilleristi compaiono solo 2/3 donne, le vittorie non rispettano la proporzione, e ciò avviene chiaramente a nostro svantaggio. Nonostante io sia fermamente convinta di questa componente svalutativa introiettata anche in maniera inconscia e pervasiva, devo spezzare un’altra lancia in favore del Premio Scerbanenco. Perché esistono situazioni ben peggiori, con regolamenti farraginosi e fumosi o addirittura premi in cui il voto popolare non viene nemmeno coinvolto: allo Scerbanenco, almeno, la vox populi ha un minimo peso in caso di parità (mi sembra di capire che, alla fine, serva soprattutto a quello), è chiarito il metodo, sono elencati i giurati con tanto di nome e cognome (giurati che non possono avere conflitti di interesse col mondo della scrittura, ovvero non possono essere scrittori di professione o editori, ad esempio) e, insomma: non possiamo non riconoscergli una certa trasparenza, ecco perché accetto serenamente di non essere entrata in cinquina.

fedeli

Vogliamo parlare di uno qualsiasi degli altri premi, che so: il Premio Fedeli? Nebbia totale quanto a giuria, Responsabile Organizzativo, Commissione, (che si dice composta “prevalentemente” da appartenenti alle forze dell’ordine), Presidente. Tanti titoli ma nessun nome. Ma soprattutto i risultati del quasi ventennale Premio Fedeli sono eloquenti: su 18 vincitori il nome di una scrittrice compare solo 1 volta!

Ho contattato quello che ho scoperto essere il Responsabile Organizzativo, Amedeo Landino: si è mostrato molto gentile e disponibile e ha potuto rispondere solo in merito agli ultimi due anni, cioè da quando detiene la suddetta carica.

Avendogli fatto notare il dato scandaloso di una sola vincitrice in tutta la storia del Premio, (ma anche il fatto, ad esempio, che la tavola rotonda di quest’anno fosse composta da 8 conferenzieri TUTTI maschi), mi ha risposto che la Commissione che stabilisce il vincitore è in prevalenza femminile.

Anche questo dato ci fa riflettere.

1 scrittrice di valore ogni 18 persone? No, non ci sto. Non vorrei trarre conclusioni affrettate, ma, se la Commissione è in prevalenza femminile,  il sospetto che sorge è che si tratti di donne che – per usare un’espressione rubata provocatoriamente proprio al mondo del giallo – odiano le donne. Ma le devono odiare davvero tanto.

Landino ha dimostrato comunque attenzione all’argomento, dichiarando al telefono:

«Me ne scuso e per l’anno prossimo mi impegno a tenere in considerazione i suoi suggerimenti per migliorare il Premio».

Tempo fa una persona a cui volevo molto bene mi rimproverò e mi disse qualcosa del genere:

Marilù, ho parlato con Xxxx ed è molto risentito perché nel tuo articolo hai denunciato anche il suo premio. Vuoi un consiglio? Smettila di farti paladina della giustizia, almeno per i premi letterari, se no poi ti scordi di vincerli. Devi fare buon viso a cattivo gioco.

Ero solita prendere come oro colato le parole che uscivano dalla bocca di questa persona, ma quella volta – per la prima volta – dissentii. So che con questo articolo mi giocherò il Premio Fedeli e forse molti altri riconoscimenti. Ma non importa: voglio essere libera di continuare a discutere delle ingiustizie, a qualsiasi livello siano. Perché credo che questa libertà valga più di mille premi.

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6 risposte a Premi letterari polizieschi: maschile plurale (parte 2)

  1. mariapaola Fabbi ha detto:

    ho seguito la discussione anche con Stefano T su Fb: concordo con te sull’importanza della libertà di parola, magari moltiplicando e pubblicando qst dubbi sulla disparità di genere, si può smuovere qlcosa

  2. patrizia debicke ha detto:

    Giustamente tu dici che quando si corre per un premio bisogna accettarne le regole. Io per esempio accetto anche quella che non essendo italiana non posso votare per lo Scerbanenco e neppure partecipare alla maggior parte dei premi di questo bel paese

  3. Maria Teresa Valle ha detto:

    Sempre lucida ed esaustiva nelle tue analisi. Grazie!

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