Opere pittoriche di Michele Condrò, FalVision Editore
“Nelle curve del silenzio” è una raccolta poetica di Antonio Giampietro, intervallata da riproduzioni di quadri di delicata bellezza. Anche le poesie sono molto belle, ma la loro bellezza è connotata da una cheta disperazione. Dallo sguardo sghembo del viaggiatore, persuaso che il mondo gli corra accanto. Il poeta si pone verso il proprio desiderio, e il subitaneo strazio di averne solo sfiorato l’oggetto, come un’anima tesa a captare. Le visioni e i suoni colti, tuttavia, sono insufficienti a descrivere, e persino a trattenere il ricordo. V’è sempre troppa, o insufficiente luce, e i volti amati che affiorano sono già intrisi di fugace rimpianto. Scintille e schegge colpiscono le immagini, quasi pittoriche. Persino i suoni sono frantumati. Talvolta, in questi accorati versi, che delicatamente avvolgono come un pudico ma irresistibile abbraccio, irrompono l’olfattività e i sapori. Il mondo allora si fa a tratti sapido e sensuale.
Mentre il tempo, mai ritmato, investe ed è già oltre come il vento.
La realtà sublunare si imbeve di una raffinata, ma non per questo meno irrevocabile, intangibilità. Ogni volgarità è spazzata via da un verseggiare che denota una straordinaria padronanza della lingua, una sapienza orafa nella scelta e nell’uso delle parole, sempre pertinenti e comunque colme di rimandi simbolici. Una lingua sontuosa e solo apparentemente rarefatta, che è un distillato quasi alchemico di sensibilità, cultura, consapevolezza e grazia.
Leggere carezze e sfioramenti palpitano tra i versi nelle descrizioni di amori accennati e mai trattenuti. Di abbracci che subito si confondono con un vibratile respiro. La carne tace, dignitosa e trafitta, mentre il poeta, costantemente in balia di un soverchiate senso di inappartenenza, di alterità, è sempre intento a celebrare un commiato. E stranamente, a configgerlo alla terra restano soltanto i passi, raffigurati in più occasioni con le scarpe. Quelle scarpe che pulsano a contatto con il selciato e forse rappresentano l’irreprimibile spinta dell’istinto vitale.
In questa visione, quasi dispercettiva, di una realtà inafferrabile, c’è però qualcosa che tange. Qualcosa che riesce a scalfire, anche se di taglio, come un colpo inferto, o il volitivo tratto del bimbo che smania di imparare a scrivere: la parola. Sono le parole, brevi e incisive, fregio della realtà, sigla e cifra dell’evento. Decalcomanie della memoria per un istante impresse su un foglio. Un’intuizione colta e un’alta metafora, che svelano la grandezza di questo dolce e intenso poeta.
di Caterina Falconi
Ok dal nord