SEGNI PARTICOLARI: ABITO IN TUTTE LE FORESTE IN CUI MI SONO PERSO
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Le tue origini e la tua città
Nacqui a Bergamo la domenica pomeriggio del 9 marzo 1975. E’ l’anno della scomparsa di Pasolini, la Fallaci pubblica Lettera a un bambino mai nato e Montale riceve il Nobel per la letteratura. Nasce il FAI.
Cosa rispondevi, da piccolo, quando ti chiedevano che lavoro volevi fare?
Non rispondevo. Ero molto taciturno. Amavo gli insetti.
E adesso cosa dici?
Dipende con chi parlo. Ultimamente tendo a presentarmi come un uomo che attraversa il paesaggio e scrive libri.
Partiamo dal tuo status di cercatore di alberi e uomo di radici, come tu stesso ti definisci e come ti accompagna la tua vasta produzione da, per citare alcuni titoli, Homo Radix (2010, Torino), Le bocche di legno (2011, Torino), Gli alberi pensano al mare (2012, Firenze), Manuale del perfetto cercatore d’alberi (2013, Milano) fino alla “Trilogia delle bocche monumentali” per Editori Laterza, di cui sono usciti i primi due volumi: L’Italia è un bosco (2014) ed Il libro delle foreste scolpite. Alla base della tua ricerca c’è anche la convinzione che quando si incontra un albero vetusto o una foresta scolpita è come se “si inventasse un continente che non c’era”: questo incontro genera una ricchezza, una nuova consapevolezza solo se si è pronti a riceverla o ad ascoltare la natura?
Abito un continente compreso fra la carta e la corteccia. Ho piedi per terra per 12 ore al giorno, nel tempo restante sono sospeso fra letture visioni e scrittura. L’umanità è natura, sebbene si tenti di distinguerci continuamente. Gli scienziati ci pongono al di sopra delle altre creature, i teologi e così tutti coloro che si innervano la lingua di parole adorabili come eccellenza. La natura che ci resta nella nostra epoca ci offre comunque possibilità di abbellimento, di purificazione, di suggestione e di sorpresa. Oltre all’avventura di cavalcare, per chi ne è capace, un’immensa onda alta venti metri o di scalare una montagna a mani nude. Io attraverso le foreste e i boschi, incontro i grandi alberi e me ne nutro, spiritualmente e letterariamente. Molte persone invece sono indifferenti, e altre persone li ammirano. I bambini trovano subito accoglienza fra gli alberi, gli adolescenti e i ragazzi hanno altro per la testa, mentre le persone che si avvicinano alla terza età o all’età matura ne sono affascinati.
A proposito di ascolto: qual è il linguaggio degli alberi?
Dipende dai canali che ciascuno utilizza per ascoltare e ascoltarsi. Per alcuni individui è anzitutto un linguaggio estetico, visivo, formale. Per altri è l’energia che si capta avvicinandoli, accarezzandoli o abbracciandoli. Per altre persone è una questione di radici, di sentirsi rappresentati anche dalla presenza e dalla storia lunga – il lungo respiro – di quella creatura che abita quel punto di mondo da tre, quattro o sei secoli, da mille o duemila anni.
Qual è il loro livello di accoglienza del mondo circostante? (quella che noi chiamiamo, forse peccando d’ingenuità, “consapevolezza”)
E’ una risposta davvero difficile. Passo molto tempo insieme a loro e non sono mai sicuro che nei loro organismi riposi un’anima. O meglio: in alcuni giorni, in alcune declinazione d’esperienza credo di sì, la vedo, la sento, la percepisco, in altri mi pare latitante, assente, pura illusione. Come in tante cose della mia vita oscillo fra due poli di segno opposto.
La cosa più bella che hai capito da un albero.
Non credo che esista una sola risposta. Diciamo che gli alberi vetusti insegnano a risparmiare le energie, insegnano ad amarsi per quel che si è. Insegnano a dosarsi, che è forse la conquista di una persona della mia età, i quarant’anni. Non più gli slanci kamikazeschi del ragazzo che sono stato, ma nondimeno perdersi in una rigida postura annullando l’emotività. Esistere senza pensare troppo. Non fatico a farlo…
La cosa più inaspettata.
L’eternità. Quelle esistenze concentrate in un singolo individuo tormentato e scolpito e contorto che toccano i tremila, i quattromila, i cinquemila anni… eternità per noi umani.
La cosa più feroce, se c’è.
La ferocia sta nella vita, nel respiro che ora c’è e fra poco non ci sarà più. Non credo esista nulla di più feroce della vita stessa.
Un albero che non esiste, ma che prima o poi troverai
Sta dentro di me. Radica e fronda e ondeggia ogni ora della vita. E muta forma.
Sei un Homo Radix. Ci racconti qualcosa che non sappiamo sulla forza delle radici?
Le radici sollevano il mondo. Spostano le montagne. Aprono varchi nel reale.
E’ in uscita per Mondadori “Ogni albero è un poeta. Visioni dal Regno del Disordine” Quando lo troveremo in libreria? E perché ogni albero è un poeta?
Esce a settembre, a meno di sorprese dell’ultim’ora. Ogni albero è un poeta perché racconta storie. Ogni albero è un verso perché in ogni albero esiste una summa della propria esperienza e noi umani lo possiamo individuare e raccogliere. Ogni poeta è destinato a farsi albero, noi che ci navighiamo dentro per una vita lo sappiamo.
Ora alcune domande su di te. Raccontaci l’ultima volta che ti sei arrabbiato
Mi arrabbio tutti i giorni. Talvolta per la mia inabilità a stare fra gli umani, spesso per la cattiveria diffusa delle persone che abusano del potere che hanno. Credo che la bontà e la generosità siano scelte, che la cattiveria – ma è un termine ovviamente generico che vuol dire tutto e niente – sia la norma. Mi arrabbio per il tribalismo della società culturale. Mi arrabbio per il pressapochismo di noi italiani, materia dominante. Custodisco una visione critica della nostra specie.
L’ultima volta che hai riso di gusto
Anche qui per fortuna quasi tutti i giorni. Mi piace ridere di gusto, anzi, nel mondo della poesia passo per uno che ride troppo. Ma mi fanno proprio ridere questi tanti autori, editori, critici, giornalisti e professori che si piacciono così tanto… come si fa non ridere di loro? Meglio comunque ridere accanto e insieme a persone che ami, o no?
Raccontaci l’ultima volta che hai tentato inutilmente
Tentato. E’ un termine che non amo molto. Secondo me le cose si fanno o non si fanno. Non si tenta. Ami una persona o non la ami, non è che tenti di amarla. Scrivi un libro o non lo scrivi. Magari ci metti anni a finirlo, a individuare il titolo giusto o la struttura che regge, ma le cose per me o si fanno o non si fanno.
L’ultima volta che hai tentato con successo
Non conosco e non coltivo il successo.
L’ultimo desiderio
Tanti. Dispersi. Irridenti. Dispettosi. L’ultimo? Finire la nuova raccolta di poesie.
L’ultima malinconia
Stamattina pensavo ad un poeta polacco che ho conosciuto anni fa, molto bravo, coetaneo, mi farebbe piacere rivederlo per prenderci un caffè. Mentre lo pensavo una cara amica poetessa e scrittrice di Torino mi ha telefonato chiedendomi il suo nome. Queste coincidenze mi sbiellano…
A cosa stai lavorando ora?
Alle bozze del Mondadori. Ad una nuova raccolta di poesie. Ad un romanzo che mi sgambetta ogni giorno da alcuni mesi. Alla terza parte della Trilogia delle Bocche Monumentali che uscirà la prossima primavera per Laterza, Giona delle sequoie.
Salutaci con una citazione da “L’Italia è un bosco”
In Italia s’aggirano silenziosi veri e propri cercatori d’alberi: guardano, annuiscono, misurano, documentano, fotografano, tracciano, pensano, catalogano. Sognano e realizzano nuovi strumenti per amare il paese, tracciano percorsi botanici che illuminano il paesaggio: avvicinano il passato al futuro.
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