di Daniela Contini (a sinistra, nella foto sotto di qualche anno fa, mentre ci abbracciamo)
Ho appena chiuso il libro. L’ultima pagina ancora scorre dietro le palpebre. Scandita parola per parola ,ed ecco che scende. In profondità. La sensazione, quella di aver intravisto gli stessi contorni; di pensieri muti che improvvisamente trovano voce; di specchi che restituiscono lo spessore di profondità toccate e volutamente celate. Perché capita , arrivati ad un “crocevia”, di ritrovarsi a pensare che non ci siano più molte strade percorribili, che anzi ne rimane una, forse una sola, ed è interminabilmente lunga e senza sogni o sorprese.
Nell’esistenza umana due tappe soltanto permettono una visione più collimante al reale: infanzia e vecchiaia.
Nella prima l’operazione è tradurre il reale in immaginifico, perché possa essere adeguatamente assimilato, condiviso e celebrato; nella seconda avviene l’operazione inversa, mentre ancora si tenta di stringere a sé brandelli del sognato , dello sperato, del possibile. Non è tanto, infatti, la solitudine (intesa come un faccia a faccia con se stessi) a svuotare di significato le esistenze, quanto il “liquefarsi” dei sogni, il vedere scivolare via come ombre in presenza del buio, tutte le possibilità di una diversa esistenza. Allora, con un moto non ancora sommesso d’orgoglio, ci si aggrappa a ciò che si ha ancora sottomano: vuoi che siano manicaretti culinari buoni come mine anticarro per la salute od un piacere dimenticato sottratto per pochi fragili, egoistici momenti anche alla morale; vuoi che sia la “roba” di verghiana memoria o la “scintilla” di un ricordo d’unione da proteggere a dispetto del fuoco ; vuoi che siano una lubrica sensazione di piacere frammisto all’orgoglioso desiderio di ritorno , sotto forma di una mise fatale o un mausoleo dove incatenare i ricordi ed il tempo. Le Sultane: Wilma, Nunzia e Mafalda, lo sanno bene cosa significhi vedersi arrivate ad un crocevia dove le “frane” hanno sbarrato ogni altra strada tranne una. Una soltanto, mentre il “mondo” gira pensando di essere immortale e con infiniti destini. Le nostre sono, per molti versi, uscite da quella famosa caverna di platonica memoria e la Luce accecante dapprima, le ha lasciate nude di fronte al Reale. Forse l’unica attaccata al “possibile” rimane Nunzia con il suo pantagruelico bisogno di sognare. La resa indomata, negazione di una diversa possibilità che travalichi il sogno per divenire reale , è , invece, la risposta di Mafalda. Mentre Wilma viene “salvata” ed al contempo “risparmiata” , dal suo stesso cordone ombelicale , dalle sue ossa che riscatta all’oblio della senilità ed al dispetto del mondo, attraversando un confine, spesso molto sottile , di ciò che è socialmente e moralmente permesso. Wilma delle tre è l’unica ad uscire alla cruda Luce: la Sultana del Reale.
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