LUIGI ROMOLO CARRINO

ATTIVITA’:  Scrittore, solo scrittore, nient’altro che scrittore

SEGNI PARTICOLARI: una cicatrice in fronte, un segno che non ti posso dire dove

LO TROVATE SU: facebook, no?

Le tue origini e la tua formazione

Napoletano. Laureato in Scienze dell’Informazione. Ho lavorato 15 anni come Ingegnere del software. Mi piace la matematica. La filosofia. La poesia.

Quando da piccolo ti chiedevano che lavoro volevi fare, cosa rispondevi?

Non me lo chiedevano. Però mi piaceva raccogliere le foglie di tabacco, scrivere, collezionare le figurine di Heidi, raccogliere le nocciole e distruggere i nidi di vespe.

Quando te lo chiedono adesso?

Diciamo che voglio lavorare. Poi, per il resto, va bene qualsiasi cosa: editor, muratore, sceneggiatore, imbianchino, barman, pizzaiolo, ingegnere, badante. Ma a 44 anni non si chiede più cosa vuoi fare. Al massimo, si chiede: cosa hai fatto?

Un sottotitolo al tuo libro “Esercizi sulla madre (Perdisa Pop, in uscita il 15 novembre 2012)

Manutenzione dell’abbandono.

Tra gli altri, qui affronti il tema della reclusione già presente in “Pozzoromolo” (Meridiano Zero, 2009). Una domanda al contrario, partendo proprio dalla reclusione: fino a  che punto tu ti senti libero?

Liberissimo di decidere quel che mi pare. Non ho famiglia a cui dar conto. Non ho figli. Non ho fidanzati né mogli. L’unica cosa che mi vincola è il mio senso di indipendenza.

Non hai nascosto che per questo non è stato facile trovare una sistemazione editoriale. Premesso che sono convinta che alcuni libri vengano a volte scartati perché osano, scuotono, si addentrano in territori dissidenti poco inclini ai gusti di mercato, secondo te quali meccanismi hanno concorso?

Questo romanzo è complicato, ma non è difficile. Gli editori non sono cretini, lo sanno che è un bel testo. Ma conoscono benissimo il lettore che hanno forgiato (storto o modo) negli ultimi vent’anni. La qualità o la mediocrità di un testo contano ben poco. Si tratta di vendere. Quello che io non capisco è una e una sola cosa: se non provvedono i grandi editori, quelli coi soldi, a proporre una alternativa (non dico di qualità, ma una variante), chi cazzo lo deve fare? I piccoli sono schiacciati anche dalle logiche distributive e promozionali: non c’è modo di uscirne. Stiamo morendo. Autori e scrittura. Letteratura. Io davvero – al di là di me che lascio il tempo che trovo – vi prego, voi grandi editori dovete fare qualcosa. Scommettete su un titolo, due all’anno, di quelli che manco i cani leggerebbero per legge di marketing. Ma fatelo, visto che avete fatto fuori il meccanismo di scouting delle piccole, assemblando tutti i distributori disponibili.

Ma le pubblicazioni devono essere necessariamente colte? O meglio: se tu fossi un editore, che distinguo faresti?

Per fortuna, non sono un editore. Mica è facile fare l’editore. C’è da far soldi per pagare gli stipendi, in primis. Sarà pure che un libro è bellissimo, ma se non si ha la più pallida idea di come promuoverlo, se si sa a priori che non vende, ma come diamine fai a pubblicarlo? Soprattutto, in questa congiuntura sfigata. Io li capisco. Spesso, sento colleghi che dicono robe come: “Mò lo scrivo un giallo, così vendo come il pane”. E scrivilo un giallo per bene, vediamo intanto se ci riesci. Non è facile scrivere un giallo. E mica è facile scrivere, che so, le “sfumature”. Ci vuole estro e poi bisogna avere culo. Qua siamo tutti bravi a lamentarci, scrittori e lettori. La verità è che non è facile essere Faletti, Carofiglio, De Giovanni. Non è facile essere Carlotto, Lucarelli, Ammaniti, Moccia, Mazzantini, Ferrante. “Ma chi vuole esserlo?”, mi sento dire spesso. Certo, io manco voglio esserlo, ma perché non lo sono. Questi signori-autori hanno scelto una strada precisa, che non vuol dire che è mediocre rispetto al resto. Vuol dire solo ‘adeguata’ al resto. Vuol dire scegliere la propria voce.

Da un lato metti le mani avanti e dici che non è «Mica è facile scrivere le “sfumature”» (equiparando “le sfumature” ai gialli), dall’altro però riporti commenti che li relegano al ruolo di genere inferiore. Ma non è un po’ obsoleta questa gerarchia tra generi? Ci sono alcuni romanzi di Carlotto o De Giovanni – per citare i primi due che mi vengono in mente – che sono molto più completi, ben scritti, brucianti di certi romanzi tout court.

E certo che lo sono. Se lo scrivessi io un giallo, probabilmente farei ridere i polli. Io non sono capace, dovrei leggere molto, studiare, provare, e poi vedere che posso tirar fuori. Non ritengo il genere giallo, o qualsiasi altro genere, inferiore a un altro. Ma il lettore è abituato così, si orienta così, con l’identificazione voluta dagli editori per indirizzare il suo gusto. Ti ho riportato i commenti di altri scrittori che si ritengono superiori perché considerando monnezza certi generi e pensano – stolti – di poter tranquillamente mettersi a tavolino e fare ‘sfumature’ lillà.

Da quello che dici sembra che chi scrive gialli/noir lo faccia per calcolo di possibilità: è un genere in voga quindi ha più possibilità di piazzarsi. Ammettendo che esista una fetta consistenti di giallisti che cavalcano l’onda, tu escludi a priori che esistano anche giallisti/noiristi appassionati al genere perché magari si sono formati a loro volta su quelle letture o perché, chessò, hanno una propensione e basta?

Ma no, affatto. C’è gente, parlo di lettori e di scrittori, malata per il noir, o l’hard boiled, per il crime. Tuttavia, molti scrittori credono che fare un noir possa farti vendere di più. Che in parte è vero. Personalmente, leggo Kristof come Izzo, leggo Gualtieri come McCarthy. Poi c’è chi preferisce solo Morante o chi legge solo letteratura tedesca. O anche chi legge solo poesia. O solo racconti.  E quando dico ‘legge’, sostituisci pure dove vuoi ‘scrive’.

Il mondo editoriale. Una cosa che ti piace.

Quando mi capita di leggere un autore bravissimo ma che strizza l’occhio al lettore, lo coccola, lo invoglia, lo seduce. Uno di quelli che mi mandano manoscritti, disgraziati in pratica. Godo. Mi piace proporlo con parole tipo: “questo almeno si vende, leggilo”, al direttore di collana di turno.

Lo scrittore ha il dovere di interessarsi ai proprio tempi o può vivere recluso in un mondo a parte?

Ma chi se ne frega, Marilù, del proprio tempo. Qua si è comandati da leggi dittatoriali sociologiche che fanno paura. Come essere umano sì, come membro di una comunità ognuno ha il dovere di guardarsi intorno. Come scrittore un po’ meno. O sei più avanti o sei più indietro: il presente è fatto per essere vissuto, non certo per essere narrato.

Ma non si toccano le due facce (scrittore/uomo)? Uno scrittore non sente sovrapporsi la scrittura alla sua umanità e viceversa o addirittura le confonde, le due facce, in un unico viluppo?

Si toccano si toccano, ma non devono arrivare sulla carta così nude e crude. Devi passare al setaccio. Altrimenti è meglio uno status su facebook, fai prima e non devi combattere con il daimon di turno. In pratica, Marilù, non è che uno deve restituire la realtà. Semmai, una dimensione della realtà che non è vissuta, non è percettibile nel trascorre il ‘proprio tempo’.  Poi sì, uno scrittore sente sovrapporsi, come dici tu, la sua umanità alla scrittura, ma non credo affatto nel viceversa.

Dai una definizione della voce “scrittore”

Ma manco se mi preghi in sanscrito!

Cosa ti dà la carica?

Essere ‘visto’ come uomo, come insieme di cose che mi fanno unico. Ognuno lo è.

Trovare chi ti vede come ‘unico’ è una carica pazzesca J.

Cosa ti abbatte?

L’abbandono senza preavviso, quello senza segnali.

Cosa ti manda in bestia?

L’abbandono senza preavviso, quello senza segnali.

L’ultima risata di gusto

Nel momento in cui mi ha lasciato il mio fidanzato. Poi, nei mesi successivi, non ho riso più.

L’ultimo sassolino tolto dalla scarpa

Esercizi sulla madre.

L’ultima incertezza

Esercizi sulla madre.

A cosa stai lavorando, ora?

Ho finito “Il Pallonaro”, storia di calcio e omosessualità. Sto ultimando “La vendetta di Mariasole”, seguito di “Acqua Storta”.

Salutaci storto come l’acqua (Acqua Storta, 2008).

’Mmocca ’a mammeta.

E adesso con un esercizio sulla madre.

Avrei voluto dirti addio, mentre mi guardi.

Questa voce è stata pubblicata in interviste, Uncategorized e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.

3 risposte a LUIGI ROMOLO CARRINO

  1. Enzo BodyCold ha detto:

    è sempre un piacere leggere le tue interviste.
    su alcune risposte di Carrino ci sarebbe da aprire un dibattito ma lo conosco troppo bene quindi saprei anche le risposte :D. Non vedo l’ora di (ri)leggere questo libro. IMMENSO

  2. Fabrizio ha detto:

    il PazzoRomolo colpisce ancora….
    ogni suo romanzo è un’immersione in un abisso di ancestrale profondità poetica.
    Lode ad un grande autore.

Lascia un commento